Inchiesta
La trama imperialista contro il Venezuela: un nuovo “Plan Condor” in azione
Il Servizio
Maddalena Celano, studiosa di America Latina e di lotte per l’emancipazione femminile, è stata intervistata l’ultima volta lo scorso mese, sempre nel nostro settimanale Il SudEst
Proponiamo una terza intervista, per approfondire meglio alcuni nodi politici e “sociali” dell’ attale crisi venezuelana. Maddalena Celano ha dato di recente alle stampe il saggio “Manuela Sáenz Aizpuru – Il femminismo rivoluzionario oltre Simon Bolívar”, edito da Aras.
Intervista di Danilo Gianfrate
(redattore de www.ilsudest.it)
a Maddalena Celano
Il Venezuela sta attraversando una grande crisi sociale ed economica . L’economia è in recessione da cinque anni. Gli stipendi raggiungono a malapena sei dollari al giorno e l’87% della popolazione vive in povertà.
La produzione di petrolio è passata da 3 milioni di barili al giorno nel 2014 a appena 1,15 milioni al giorno nel terzo trimestre del 2018. Le interruzioni di corrente elettrica sono molto diffuse. Il numero di rifugiati e migranti venezuelani ha raggiunto i 3 milioni nel 2018. Gran parte della popolazione mangia solo una volta al giorno e la malnutrizione colpisce il 68% delle persone che vivono in Venezuela. Mentre ciò accade, i ricchi venezuelani che hanno beneficiato del chavismo hanno risparmiato circa 600 miliardi di dollari. In questo contesto, il sostegno popolare a Nicolas Maduro è diminuito drasticamente. Come interpreti gli attuali rapporti di forza in Venezuela?
L’imperialismo e l’opposizione di destra stanno cercando di approfittare del malcontento popolare per rovesciare Maduro, giacché le sanzioni statunitensi contro il Venezuela stanno costringendo le masse verso una situazione difficile. I limiti di questa politica imperialista e dei suoi alleati interni è triplice. Innanzitutto, il massiccio malcontento contro il governo Maduro non si è comunque tradotto in ampio sostegno popolare a favore di Juan Guaidó. Secondo: eccetto poche eccezioni, l’esercito venezuelano continua a sostenere il governo di Maduro. Terzo: il sostegno russo e cinese a Maduro è motivato dai loro interessi strategici in Venezuela.
Ormai tutti sanno che, questo 23 gennaio 2019, Trump ha sostenuto il secondo “presidente” ad interim Juan Guaidó giacché strumentale ai propri progetti di appropriarsi delle riserve petrolifere venezuelane, le più grandi al mondo.
Sempre questo gennaio, John Bolton, uomo la cui idea di diplomazia è di costringere gli altri paesi alla sottomissione affamandoli, cospirando per destabilizzarli o addirittura bombardandoli, ha annunciato nuove sanzioni contro il Venezuela, l’ultima minaccia di sicurezza nazionale di Washington.
In un briefing alla Casa Bianca, il Segretario del Tesoro e Bolton, hanno fatto rivivere il linguaggio dell’imperialismo e hanno annunciato nuove sanzioni che avrebbero influito sul PDVSA, la compagnia petrolifera statale venezuelana al fine di “mettere più pressione” al presidente Nicolás Maduro. Ma Bolton non si ferma alle misure economiche, in realtà minaccia di invadere il Venezuela.
“Il presidente ha chiarito che tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Ormai tutti sanno che Trump ha in pratica nominato il secondo “presidente” per l’acquisizione delle riserve petrolifere venezuelane, le più grandi al mondo. Juan Guaidó, l’uomo dell’opposizione che, ovviamente, nessuno ha eletto. Eppure, Trump e i suoi scagnozzi, seguono la guida del perfido Marco Rubio, dichiarando la presidenza di Maduro “illegittima” e invocando il cambio di regime.
Maduro ha accusato gli Stati Uniti di aver architettato un “colpo di stato” e intrapreso una “guerra economica” contro di lui e il suo governo, cosa che Bolton e Rubio hanno ammesso espressamente.
Si dimentica che gli Stati Uniti, i suoi satelliti latinoamericani e tutti gli altri, non sono preoccupati per la “democrazia” in Venezuela, non sono preoccupati per “un dittatore” che sarebbe stato “eletto in elezioni truccate”. L’amministrazione Trump se ne infischia del popolo venezuelano e si preoccupa esclusivamente di sfruttare le sue riserve di petrolio.
“Economicamente sarà una grande differenza, per gli Stati Uniti, se potessimo investire con le compagnie petrolifere americane e produrre petrolio in Venezuela”, disse Bolton, traboccante di arroganza imperiale, a Trish Regan, conduttore di Fox Business. Gli Stati Uniti hanno “molto in gioco” nel paese sudamericano, ha detto, riferendosi al petrolio di quella nazione e al beneficio economico che l’eliminazione di Maduro e della Rivoluzione Bolivariana avrebbe significato per gli Stati Uniti.
Rubio, che è emerso come consigliere di Trump sull’America Latina, ha anche ammesso che non è né la democrazia o il benessere del popolo del Venezuela ciò a cui realmente aspira. “I maggiori acquirenti di petrolio venezuelano sono @ValeroEnergy & @Chevron […]”, ha scritto Rubio questo mese di gennaio 2019 su twitter“. Per il bene dei lavoratori americani spero che s’incominci a lavorare con l’amministrazione del Presidente Guaidó e si sospenda il regime illegittimo di Maduro”.
È doloroso vedere come miopi e infidi siano alcuni presidenti latinoamericani che, seguendo i piani imperiali di Trump, stanno relegando i loro paesi al ruolo del “cortile” degli Stati Uniti.
Tuttavia, nulla è paragonabile al comportamento disgustoso e abietto di Sebastián Piñera, il presidente del Cile, uno dei complici di Trump in Sud America. Forse Piñera, politico di destra, ha dimenticato che il presidente eletto democraticamente, Salvador Allende, è stato deposto e ucciso, nel 1973, in un colpo di stato guidato dagli USA. Augusto Pinochet impose una brutale dittatura, durata 17 anni, in Cile, con l’entusiasmo del presidente Richard Nixon e del segretario di stato Henry Kissinger. Ma qualcosa è molto chiara sulla situazione del paese sudamericano: il governo degli Stati Uniti – non detiene alcun esempio di virtù democratica in sé – non ha diritto alcuno di determinare chi dovrebbe amministrare il Venezuela o meno.
Donald Trump, e le parti più “sinistre” del regime statunitense, stanno rivelando che lo slogan “America First” altro non è che retorica di un imperialismo alimentato e rinforzato?
Il Venezuela ha avuto la sua parte dei problemi e si trova di fronte a una serie di crescenti crisi economiche e politiche. Ma nessuna di queste crisi è potenzialmente catastrofica per la classe lavoratrice venezuelana come il “golpe suave”, in questo periodo perseguito dall’amministrazione Trump contro il presidente Nicolas Maduro. L’ultimo colpo di stato è, almeno in parte, esplicitamente destinato a consentire alle società statunitensi l’accesso alle ricche riserve petrolifere del Venezuela. Non sorprende quindi che questo piano sia sostenuto in modo aggressivo dai leader di destra di tutta l’America Latina, tra cui Mauricio Macri dell’Argentina, Jair Bolsonaro del Brasile, e Sebastian Piñera del Cile, così come la maggior parte dei membri del cosiddetto “Gruppo Lima”. Anche se gli Stati Uniti continuano a spremere e isolare il governo venezuelano di Maduro con terribili conseguenze per le masse, la Russia e la Cina hanno dichiarato il loro sostegno al governo di Maduro, per sfidare l’egemonia degli Stati Uniti nella regione. Proprio come abbiamo visto con la Siria, il Venezuela sta diventando il nuovo palcoscenico per un gioco di scacchi geopolitico tra le potenze internazionali. È chiaro che, dopo anni di guerra in altre regioni del mondo, l’imperialismo statunitense è tornato nel proprio cortile con un nuovo gusto per l’interventismo aggressivo che non si vedeva dagli anni ’80.
Questa minaccia al popolo latinoamericano richiede la creazione di un’opposizione antimperialista determinata e forte, all’interno della sinistra europea e nord-americana. È spiacevole, ma non sorprende che tra gli agitatori più entusiasti del colpo di stato in Venezuela vi siano alcuni dei più noti falchi guerrafondai del regime statunitense, che, con il supporto dei media liberali e di diversi funzionari del Partito Repubblicano e Democratico, stanno velatamente minacciando il governo Maduro, da quando è iniziata la crisi. Potrebbe illustrarci chi sono?
In effetti, la vera troika malvagia dietro la trama contro Maduro è composta da John Bolton, Elliot Abrams e Marco Rubio. John Bolton, attuale consigliere per la sicurezza nazionale ed ex ambasciatore presso le Nazioni Unite sotto il presidente George W. Bush, è un fedele rappresentante della classe dominante. Bolton, ex collega dell’American Enterprise Institute, è coinvolto nelle lobby politiche dei conservatori. È anche un noto guerrafondaio che ha sostenuto l’intervento in Iraq e in Libia e continua a premere per il cambio di regime e le campagne di bombardamento contro l’Iran e la Corea del Nord. Elliott Abrams, l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Venezuela, è un criminale di guerra neoconservatore che è tornato, come lo spettro delle amministrazioni passate, al centro dell’azione politica in America Latina.
Abrams invece è ben noto come l’architetto del tentativo di “imbiancare” il massacro di un migliaio di uomini, donne e bambini da parte di squadroni della morte finanziati dagli Stati Uniti in El Salvador, quando era Assistente del Segretario di Stato per i Diritti Umani e gli Affari Umanitari, sotto Reagan. Aiutò anche a organizzare il finanziamento segreto dei Contras, gruppi paramilitari nicaraguensi incaricati di affogare la rivoluzione sandinista nel sangue. Marco Rubio è un senatore repubblicano di destra della Florida, rappresenta gli interessi dei conservatori cubano-americani che “aborriscono l’alleanza tra Caracas e La Habana” e vedono, l’eventuale caduta di Maduro, come un modo per indebolire il governo cubano. Inoltre, l’offensiva di Trump contro il Venezuela, sta generando un grande entusiasmo tra i repubblicani e la comunità latina di destra in Florida. Donald Trump sta dimostrando di non essere altro che una frode; durante la sua campagna elettorale, affermò che gli Stati Uniti avrebbero smesso di intervenire in altri paesi. Sebbene l’annuncio del ritiro delle truppe dalla Siria e dallo Yemen fosse in accordo con la retorica della sua campagna non interventista, Trump ora sta riciclando la politica dei falchi di guerra che sono sempre stati pronti a finanziare golpe militari in tutto il mondo. Questo è il vero contenuto dello slogan “America First”.
Ma l’entusiasmo per la guerra non proviene solo dagli uffici del Partito Repubblicano. Il Partito Democratico e la stampa liberale che “ieri” desideravano mettere “sotto accusa” Trump, oggi applaudono all’offensiva contro il Venezuela.
Come sottolinea Jeremy Scahill, di The Intercept , per i media liberali allineati al Partito Democratico la storia è solo una: “Maduro sarebbe un dittatore socialista corrotto. Bisognerebbe cacciarlo in modo che il Venezuela possa essere libero”. Il ruolo che gli Stati Uniti hanno svolto sotto Bush, sotto Obama e ora sotto Trump in Venezuela è violento e destabilizzante, come per il resto del continente Americano.
Hugh Hewitt, uno dei commentatori preferiti di MSNBC , ha dichiarato su Meet the Press : “È molto importante chiudere con il governo Maduro rispetto al nostro governo”.
Almeno due dei contendenti presidenziali democratici, il senatore Kirsten Gillibrand e il membro del Congresso John Delaney, stanno sostenendo Guaidó; sebbene si oppongano a una soluzione militare, ritengono che i provvedimenti adottati dall’amministrazione Trump siano corretti. Il presidente della commissione di intelligence della Camera, Adam Schiff, afferma di riconoscere Guaidó come presidente, e eminenti democratici come Debbie Wasserman-Schultz, Elliot Engel e l’ex Segretario della Salute e dei Servizi Umani di Clinton, Donna Shalala, stanno apertamente facendo una campagna contro Maduro.
Il famoso commentatore liberale Bill Maher, che ha sostenuto Bernie Sanders nelle primarie del 2016 e poi Hillary Clinton nelle ultime elezioni presidenziali, ha espresso a parole ciò che la maggior parte dei politici del Partito Democratico pensa realmente: “Oggi, il Venezuela ha un ragazzo, un leader dell’opposizione che finalmente è insorto e che noi appoggiamo. E la Russia ci ha avvertito di arretrare perché stanno appoggiando il dittatore. Questa era la dottrina Monroe! Questo è il nostro cortile! E ora la Russia ci sta dicendo di evitare di intervenire in Venezuela […]”
Sanders, d’altra parte, ha scritto un tweet in tre parti sul tentativo di colpo di stato in corso in Venezuela. Ha correttamente collegato la situazione in Venezuela agli interventi passati sponsorizzati dagli Stati Uniti in Cile, Guatemala, Brasile e Repubblica Dominicana, attirando l’ira dei media mainstream.
Tuttavia, anche questo tweet si concentra innanzitutto sulla denuncia di Maduro, piuttosto che mettere al centro la denuncia dell’imperialismo USA. Ma la cosa più importante, la vera contraddizione è che Sanders potrebbe candidarsi come presidente all’interno del partito imperialista che sta attualmente tifando per Juan Guaidó.
Dietro la trama di Trump contro il Venezuela, ci sono gli interessi imperialisti bipartisan che in passato hanno fomentato colpi di stato militari e hanno contribuito a installare governi allineati con gli Stati Uniti, garantendo il saccheggio delle risorse della regione.
Ma l’egemonia americana sull’America Latina non è più quella di una volta, e nella sua offensiva contro il Venezuela, l’imperialismo statunitense sta già trovando le resistenze di Russia e Cina.
I media di destra sostengono che la crisi in Venezuela è dovuta al carattere “socialista” della sua economia e del governo. Concordi con quest’interpretazione? Questo 7 Maggio 2019 hai partecipato, presso l’ Università degli Studi di Roma3, Dipartimento di Scienze Politiche, Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi in Lingua Spagnola, come relatrice al Primer Congreso Internacional. Venezuela: desde la búsqueda de la paz hasta el discurso político, con una relazione dal titolo “La Guajira: una regione dimenticata tra Colombia e Venezuela. La terra di nessuno”. E il giorno 10 maggio 2019, hai partecipato presso la stessa Università, ma alla Facoltà di Economia, (questa volta solo come uditrice), alla Conferenza “Indipendenza Economica e Sovranità Alimentare, Cosa produrre, come, perché e per chi?” con Jose Luis Berroterán (Rettore Universidad Nacional Experimental de los Llanos Centrales Romulo Gallegos – Venezuela – ex Ministro dell’Agricoltura) e Pasquale De Muro (Docente di Economia dello sviluppo umano e coordinatore del Master in Human Development and Food Security – Università di Roma Tre). Che cosa hai imparato da queste esperienze e dal confronto con altri intellettuali ed esperti del continente latino-americano?
Come ha riportato, nella sua presentazione, il Collettivo Studentesco “Coniare Rivolta”, tra gli organizzatori della Conferenza Indipendenza Economica e Sovranità Alimentare, Cosa produrre, come, perché e per chi? “Tra sanzioni economiche e tentativi di golpe il Venezuela è da ormai diverse settimane sotto attacco. Ancora una volta, alcuni segmenti di borghesia nazionale e l’imperialismo statunitense cercano di far cadere con la violenza il legittimo governo bolivariano. Ancora una volta, però, il popolo venezuelano sembra avere respinto il tentativo di colpo di stato.
Il cammino rivoluzionario è però ancora lungo e passa anche dalla conquista e dalla difesa della sovranità e della sicurezza alimentare, una delle maggiori sfide intraprese dai governi di Chavez e Maduro negli ultimi vent’anni per garantire l’accesso alla terra e al cibo a chi ne era stato privato per secoli.”[1]
Eppure, gli attuali problemi del Venezuela sono dovuti proprio al fatto che il Venezuela non è mai stato un paese pienamente ed autenticamente socialista. Quest’affermazione potrà scandalizzare e destabilizzare qualcuno (sia a destra che a sinistra) ma le ragioni sono molteplici. Ad esempio, né Chavez, tantomeno Maduro hanno espropriato la proprietà capitalista nel suo complesso. L’economia si è tenuta in piedi grazie ai proventi del petrolio. Infine nessuna delle industrie parzialmente espropriate è stata messa nelle mani della classe operaia. L’economia del Venezuela è basata sulle esportazioni di petrolio. Durante i buoni anni del governo di Hugo Chavez (2004-2013), l’economia è fiorita grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime. Ma dal 2014 i prezzi del petrolio sono diminuiti drasticamente, situando l’economia venezuelana ai margini dell’abisso. Il capitale accumulato negli anni in cui i prezzi del petrolio sono aumentati (2004-2013) non è stato utilizzato per diversificare l’economia, specialmente nei suoi punti deboli e nodali di bassa produzione locale di cibo e medicinali. La borghesia venezuelana e i capitalisti stranieri non furono espropriati. Infatti, come ha riconosciuto lo stesso Maduro, 3000 società statunitensi operano ancora in Venezuela. Gli espropri fatti dal governo di Chavez hanno avuto compensi molto elevati per le società proprietarie. Inoltre, le industrie espropriate non furono mai trasferite nelle mani di organismi di rappresentanza democratica della classe operaia, ma nelle mani della burocrazia chavista. Lungi dall’avanzare verso una vera socializzazione dei mezzi di produzione, la presenza di capitale straniero nel paese, legata allo sfruttamento del petrolio e delle risorse naturali, è aumentata. In definitiva il Venezuela non è mai stato un paese comunista ma neanche pienamente socialista: perciò l’isterismo di una certa destra contro il Venezuela, come di una certa sinistra, è del tutto paranoico e ingiustificato. Tuttavia, proprio nei momenti di maggiore crisi, sorgono le idee e gli esperimenti sociali più avanzati e le lotte sociali s’intensificano. Proprio a causa dell’inasprimento delle sanzioni, il Venezuela progetta una sua piena sovranità alimentare, puntando maggiormente sull’agricoltura, sull’industria agroalimentare e sull’industria farmacologica. Ma, questa volta, con modalità ben diverse da quelle conosciute fino ad oggi, in Europa o negli USA. La giornalista ambientalista, Marinella Correggia, riporta la seguente esperienza: “[…]L’ateneo, specializzato nelle produzioni agroalimentari (ha trenta ettari coltivati) e nelle ricerche nel campo della salute, è al tempo stesso un’area di avanguardia e un luogo di applicazioni concrete, compresa la vendita di prodotti agricoli utili perfino ad affrontare la guerra economica in corso contro il Venezuela.
Il rettore José Luis Berroterán, già docente all’università centrale del Venezuela ed ex ministro dell’agricoltura, appoggia diversi programmi originali. Ad esempio, il progetto Cacique Nigale, per la formazione nel campo della salute di giovani appartenenti alle numerose comunità autoctone dei popoli originari, sopravvissuti alla colonizzazione. Ci spiega il progetto, la sua coordinatrice, la dottoressa Leyda Peña, originaria dell’etnia Bari nello Stato Zulia: «Abbiamo iniziato nel 2010 grazie a un accordo fra questa università, il ministero della salute e quello dei popoli indigeni e dei popoli originari. Il programma ha un’importanza strategica, perché le comunità autoctone vedono la medicina allopatica e il medico criollo come estranei, perfino minacciosi. Nel concetto di cosmogonia che abbiamo ereditato dai nostri antenati, la salute è qualcosa di integrale, una relazione stretta fra l’essere umano e lo spazio vitale, la natura. Gli studenti provenienti dai diversi popoli originari (wayu, warao, ñangatu, chaima, pemon, kariña) si formano nella medicina convenzionale, ma senza dimenticare le proprie radici e le conoscenze ancestrali dei popoli, e quindi saranno capaci di offrire alle loro comunità un’alternativa nella prevenzione e nella cura.» E mentre i giovani delle varie comunità ci regalano la traduzione nella loro lingua natale di un motto più che urgente, «Pace per il mondo», Leyda sottolinea l’importanza delle cure naturali: «Il Venezuela è il quarto paese con maggiore biodiversità al mondo! L’industria straniera ci ha spesso rapinati dei principi attivi che vengono falle nostre piante autoctone, malgrado le nostre leggi vietino questa appropriazione dei saperi ancestrali dei popoli indigeni».[…][2]
Invece, per quanto concerne il Convegno Internazionale del 6, 7 e 8 maggio, Primer Congreso Internacional. Venezuela: desde la búsqueda de la paz hasta el discurso político”, ho potuto illustrare la condizione della Guajira, associando la sua destabilizzazione al Plan Colombia. La Guajira, dura e arida, si trova al confine tra Venezuela e Colombia. Per oltre 500 anni, la tribù nativa dei Wayúu, ha resistito a tutti coloro che sono venuti a depredare le loro terre o risorse, dai coloni spagnoli in cerca di perle ai pirati inglesi in cerca di tesori. La scoperta di carbone, petrolio, sale e gas sul loro territorio, tuttavia, ha modificato la situazione. Le rapaci società energetiche multinazionali minacciano non solo la Guajira, ma anche la cultura e il modo di vivere dei Wayúu. I Wayúu sono stati a lungo coinvolti nella guerra tra l’esercito colombiano, le FARC e i paramilitari di destra, ponendo il Wayúu in una posizione estremamente vulnerabile. Oltre al contrabbando di stupefacenti, i paramilitari hanno cercato di assumere il controllo del redditizio commercio di benzina e prodotti del Venezuela, tradizionalmente gestiti dai Wayúu, che sono in grado di viaggiare liberamente tra i due paesi e di trasportare gratuitamente la merce venezuelana in Colombia. Le multinazionali energetiche hanno ormai privatizzato e depredato tutte le loro risorse. I Wayúu in questo momento sopravvivono solo grazie agli aiuti alimentari dei CLAPS (comitati locali per l’approvvigionamento e la produzione alimentare, promossi dall’attuale governo venezuelano) ma il golpismo permanente (golpe soave) che colpisce l’attuale governo venezuelano e le tensioni con la Colombia, rendono instabile l’ approvvigionamento alimentare in territorio Wayúu, in quanto territorio di confine.Sia prima che dopo, notai che il resto delle relazioni del 7 maggio furono piuttosto imprecise, poco documentate ed “ideologiche” nella descrizione della situazione venezuelana. Una docente dell’ Università Cattolica di Colombia ha letto dei documenti del Tribunale Supremo di Giustizia in esilio, eletto dall’Assemblea Nazionale nel 2017, ma attualmente in esilio a Panama. Un’ istituzione che in Venezuela non ha alcuna considerazione e alcun valore, essendo esclusivamente riconosciuto Tribunal Supremo de Justicia, (TSJ) che rappresenta la Corte Suprema del Venezuela. Detto ciò, si è anche blaterato di presunti “brogli elettorali”, “illegittimità” del Governo Maduro e numerose altre amenità che non elencherò qui (non solo la relatrice ma anche il moderatore e qualche persona presente in aula)… Purtroppo non sono stata interpellata sulle questioni più “delicate” in cui avrei avuto molto da dire e da “ridire”. Il dato ufficiale sull’affluenza, dice che si è recato alle urne il 46 per cento degli aventi diritto, pari a circa 8 milioni di cittadini: dato in netto calo rispetto all’80 per cento delle presidenziali di cinque anni fa. Maduro, leader del Partito socialista bolivariano, ha raccolto 5,8 milioni di consensi, a fronte degli 1,8 milioni del candidato ultraliberista Henri Falcón, ex socialista passato alla destra. Il pastore evangelico Javier Bertucci ha raccolto invece 933mila preferenze. Ma secondo Falcón, le elezioni sono “indubbiamente prive di legittimità”. Il candidato liberista si è rifiutato di riconoscere la vittoria di Maduro. Il sistema elettorale venezuelano è accusato, infatti, di presunte irregolarità. Ma la vecchia società incaricata della gestione del software elettorale dall’ANC, nel mese di luglio 2017, la Smartmartic, aveva denunciato una manipolazione di “almeno un milione di voti”. Una denuncia che ha cambiato la percezione internazionale. Tuttavia, il 18 maggio 2017 erano arrivati a Caracas 150 osservatori internazionali. Secondo quanto riportato dall’Agi, le votazioni sono state controllate, tra gli altri, dai rappresentanti di alcuni organismi regionali dell’America Latina, tra cui tutti i Caraibi e l’Alba, e di paesi come Bolivia, Cina, Siria e Turchia. Il voto in Venezuela è “totalmente automatizzato e può essere controllato in tutte le sue fasi”, fa sapere il Consiglio Elettorale Nazionale. I votanti, infatti, possono accedere alla scheda elettorale digitale grazie alla loro impronta e premere sul nome del candidato che desiderano votare. In questo modo sarà impossibile esprimere più di una volta il proprio voto.[3] “I voti sono immagazzinati nella memoria della macchina e alla fine della giornata sono confrontati con quelli cartacei”, spiega il CNE. Quando l’elettore esprime la propria preferenza, infatti, la macchina stampa una “ricevuta” che deve essere verificata e depositata in una scatola di sicurezza. La contesa elettorale è stata quindi segnata da brogli? Nessuno è mai riuscito a provare nulla e non esiste uno straccio di prova che confermi queste accuse. Nel 2012 Jimmy Carter ha dichiarato che il sistema elettorale del Venezuela è il migliore del mondo. Al principale sfidante di Maduro, Falcón, sono stati resi disponibili tutti i media durante l’ultima campagna elettorale. Lui e il suo consulente economico, Francisco Rodríguez, hanno viaggiato in tutto il paese e sono apparsi sulle principali reti televisive del Venezuela, dove si sono scagliati contro Maduro offendendo con ogni sorta di epiteto. Infatti, Falcón ha lanciato la sua campagna con un discorso di 35 minuti sulla TV di Stato venezuelana, in cui ha bollato Maduro come «candidato della carestia» che aveva trasformato il popolo in «schiavi» e impoveriti. Quale “dittatore” permette al suo oppositore di lanciare simili attacchi, tramite le tv di Stato? La Fondazione di Jimmy Carter (www.cartercenter.org), sulla presunta “dittatura” di Maduro dichiara quanto segue: “In effetti, delle 92 elezioni che abbiamo monitorato, direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”. Carter ha vinto un premio Nobel per il suo lavoro di monitoraggio delle varie elezioni democratiche svolte nel mondo. Attraverso la Fondazione Carter Center, che ha osservato e certificato le precedenti elezioni venezuelane, non si è riscontrata alcuna irregolarità. Da quando il leader venezuelano dell’opposizione di destra, Juan Guaidó, si è autoproclamato presidente mercoledì 23 gennaio 2019, la crisi nel paese ha acquisito dimensioni internazionali. Il conflitto venezuelano sembra essere una priorità assoluta per il governo di Donald Trump e un settore del regime americano, ma gli Stati Uniti non sono l’unico paese che interviene nell’area. I legami economici che legano il Venezuela alla Russia e alla Cina sono profondi. Il Venezuela deve a entrambi i paesi un totale di oltre $ 120 miliardi. Le strette relazioni della Russia con il Venezuela risalgono al governo di Hugo Chavez, e negli anni seguenti, il Venezuela è stato uno dei pochi nella comunità internazionale a sostenere il coinvolgimento della Russia in Siria e Ucraina. Ma soprattutto, la compagnia petrolifera russa Rosneft, ha un interesse particolarmente radicato nel governo di Maduro. Nel 2017 Rosneft ha acquisito quasi il 50 percento della società petrolifera statunitense Citgo, di proprietà del conglomerato energetico venezuelano PDVSA. Citgo funge da garanzia per i debiti venezuelani verso Rosneft e dà fondamentalmente un potere strategico alla Russia in America Latina. Da parte sua, la Cina ha iniettato $ 65 miliardi in Venezuela negli ultimi dieci anni. La Cina ha anche aiutato il Venezuela a creare fabbriche per la produzione di automobili, telefoni e infrastrutture. La Cina ha anche venduto notevoli quantità di equipaggiamento militare in Venezuela, come i veicoli utilizzati dalla Guardia Nazionale. Sebbene la portata delle divergenze geopolitiche e degli antagonismi economici tra queste potenze non sia chiara, nella scena internazionale si stanno allertando le conseguenze militari della crisi venezuelana. La Cina ha un impianto di localizzazione satellitare presso la base venezuelana di Guarico. La Russia ha una forte presenza informatica presso la base navale di La Orchilla. Ecco perché la minaccia di Trump di inviare 5.000 truppe in Colombia non può essere presa alla leggera. Sebbene gli Stati Uniti abbiano già escluso un imminente intervento militare in Venezuela, questo mese di febbraio, il presidente Trump ha dichiarato in un’intervista alla CBS che l’opzione militare “era ancora sul tavolo”. È noto che i 20 milioni di dollari in “assistenza umanitaria al popolo del Venezuela”, consegnati direttamente all’opposizione di destra guidata da Guaidó, non saranno utilizzati per mitigare la fame del popolo venezuelano ma piuttosto per rafforzare il tentativo di colpo di stato e l’ala destra del paese. Non ci si può aspettare nulla di buono dalle dispute tra le potenze internazionali in Venezuela e chi getta benzina sul fuoco (piuttosto che stemperare gli animi) è un irresponsabile o un criminale.
[1] https://coniarerivolta.org/2019/05/06/incontro-su-indipendenza-economica-e-sovranita-alimentare-in-venezuela/
[2]Fonte:http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3690http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3690&fbclid=IwAR1cT6ypCQezxv0K2Dk3CLbJCjb8X9hRa2vq60ZR9JnnSai4IhSueX-3UZ0
[3]https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_sono_state_irregolari_le_elezioni_vinte_da_maduro_nel_2018/5694_27148/