Inchiesta
Di Maio e le fuorvianti polemiche sul Sindacato
di FABRIZIO RESTA*
Che non sia mai corso buon sangue tra Luigi Di Maio e i Sindacati non è un segreto.
Ancora prima di andare al governo il Pentastellato aveva in più di un’occasione polemizzato con le associazioni di categoria accusandoli di non rappresentare più i lavoratori, specie i giovani, di essere persone che non lavorano e prendono pensioni d’oro (strana accusa da parte di qualcuno che non ha altra professione a parte quella politica). Poi è passato alle minacce “I sindacati cambino o li riformeremo noi quando andremo al governo” chiedendo trasparenza sulle forme di finanziamento. Ora che è al governo, dai bar ai talk show televisivi, si parla soltanto di privilegi sindacali e di assenza dalle lotte per la tutela dei diritti dei lavoratori. L’accusa è chiara, la motivazione anche: “”Mi dispiace vederli in piazza contro la quota 100 che manderà in pensione molti lavoratori – ha dichiarato più di una volta il Vicepremier – mentre non sono andati in piazza quando è stata fatta la Fornero”. Il problema è la capacità dei sindacati di fare quella “opposizione” che neanche gli altri partiti riescono a fare in modo efficace e l’unico modo per disinnescarli è renderli parte della casta, di quelli che i problemi li hanno creati a spese del cittadino; ed ecco rilanciare la questione pensioni d’oro.
Quando parla di sindacato, il vicepremier denota una carenza imbarazzante di informazioni e una grave miopia nel saper leggere la realtà. Gli sfugge il significato del suo ruolo nel governare un paese, specie uno che sta vivendo una grave crisi economica, che consiste anche nel cercare di tenerlo unito senza dover creare spaccature tra i vari livelli democratici. Gli sfugge che i sindacati di oggi non sono più quelli di una volta che si limitano a dire no alle riforme dei governi ma sono organizzazioni con una visione e che propongono le loro idee (Cgil. Cisl e Uil hanno consegnato al governo un testo con le loro proposte). Non si sa dove Di Maio fosse precedentemente ma la Cgil in particolare ha fatto sempre il suo dovere: in piazza c’è sempre stata, sia contro la Fornero che contro il Job Act o contro i Voucher. Al contrario, in questi ultimi anni sembra che la preoccupazione principale dei governi (non solo quello gialloverde) sia quello di sviare l’attenzione dei cittadini dai veri problemi (che ripetiamo a nostro parere sono l’economia, il lavoro e la sicurezza, gli investimenti, la lotta alla mafia, ecc) per avviare una campagna di generalizzazione allo scopo di creare un “nemico pubblico” su cui attribuire la responsabilità dei problemi. Il Vicepremier dovrebbe apprendere che fare il Sindacato è un impegno gravoso e costante perché devi aggiornarti e studiare costantemente per avere una preparazione tale da poter affrontare i legali datoriali, che sicuramente nella stragrande maggioranza dei casi prendono stipendi molto più elevati. Fare il rappresentante sindacale, sul proprio posto di lavoro, è sempre stato difficile. Altro che privilegio. Non si fa carriera nell’azienda, si è guardati male e “puntati” dai capi e in passato accadeva che i sindacalisti fossero – guarda caso – i primi ad essere licenziati. Altro che “pensioni d’oro”.
Le norme in vigore, in particolar modo la Legge Treu, additata come la madre delle pensioni d’oro, consentono ai sindacalisti in distacco di sospendere l’attività lavorativa, completamente o parzialmente, per dedicarsi all’attività sindacale e di avere una pensione più alta grazie al versamento di contribuzione aggiuntiva che produce un incremento delle quote di pensione calcolate ancora con il sistema retributivo ed agganciate allo stipendio degli ultimi anni. L’edizione del Giornale del 9 luglio parlava di “18mila sindacalisti italiani che ricevono, ogni mese, un trattamento pensionistico di lusso, e di netto superiore rispetto alle cifre realmente versate all’Istituto nazionale di previdenza sociale”. Da qui la richiesta di trasparenza sui bilanci e sulle fonti finanziamento delle associazioni di categoria.
A Di Maio però sfugge che questa legge serviva a garantire l’opportunità a tutte e tutti di lavorare e fare sindacato senza stare sotto la spada di Damocle di eventuali ritorsioni da parte datoriale. Chiaramente anche all’interno dei sindacati, come in qualsiasi settore, c’è chi considera la sua attività come una missione e chi invece ne è meno convinto e preferisce concentrarsi sugli interessi personali ma generalizzare su tutto il mondo sindacale ci appare solo come vuoto populismo per cercare di strappare voti ma è un sistema che comincia a non funzionare più. La manifestazione del 9 febbraio lo ha testimoniato. Resta da capire, per restare nel merito delle accuse, di quale trasparenza parli dato che il calcolo delle pensioni dei sindacati sono fatti da leggi pubbliche e che non stiamo parlando di soldi pubblici, dato che i soldi con i quali vengono pagati i sindacalisti provengono dal contributo che volontariamente paga chi si iscrive al sindacato, a differenza dei politici.
Tutto ciò, tuttavia, non deve indurre ai fraintendimenti. Ci può anche stare dire che i sindacati abbiano bisogno di una costante evoluzione per migliorarsi, che devono estendere la loro rappresentanza e sicuramente la strada per raggiungere la perfezione è ancora molto lunga ma accusare la mancanza di trasparenza è puro populismo che non fa paura. Anzi, la Cgil già da un po’ pubblica i bilanci e le buste paga. Personalmente fa piacere sentire che il Vicepresidente del Consilio prenda a cuore i diritti dei lavoratori ma probabilmente a quest’ultimi farebbe più piacere se si impegnasse di più per il ripristino dell’art. 18 e quindi per la tutela del lavoratore contro i licenziamenti senza giusta causa, piuttosto di un decreto sulla trasparenza dei sindacati. Anzi, dato che ora possono essere licenziati senza giusta causa, sarebbe da chiedersi quanti giovani potrebbero avvicinarsi al sindacato e battersi per i propri diritti, sapendo che per questo rischiano continuamente di essere licenziati.