Cronaca
Nessuna verità per Vincenzo Mosa
L’assassino di Vincenzo Mosa è ancora senza volto. Resta l’impressione che non sia così inafferrabile.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Molti gli anni trascorsi dal fatto. Molte indagini e un processo concluso con l’assoluzione. Ad oggi la verità è ancora lontana.
Così è possibile sintetizzare la vicenda dell’avvocato Vincenzo Mosa.
Ucciso a Sabaudia il 2 febbraio 1998.
Mosa era avvocato penalista. Tra i suoi clienti alcuni avevano legami con la banda della Magliana e con la camorra.
Era anche responsabile dell’ufficio legale del “Sindacato Nazionale Antiusura e per la riabilitazione dei protestati”.
Una lunga militanza nell’MSI. Aveva lasciato Alleanza Nazionale per passare nella Fiamma Tricolore di Rauti.
Sposato due volte. Due figli avuti dalla prima moglie e due figlie dalla seconda.
Mosa si divideva tra lo studio-abitazione di Roma dove viveva con la moglie e le figlie, lo studio nella sua Terracina e la casa di Sabaudia in località Colle Piuccio.
Mosa era molto legato alla villa di Sabaudia. Ci passava spesso i fine settimana con la moglie, le figlie e i due cani.
Come era avvenuto anche nel weekend del 31 gennaio e 1° febbraio 1998.
La mattina del 2 febbraio la moglie riparte per Roma con le bambine.
Mosa si reca a Roma per un’udienza. Nel pomeriggio si reca presso lo studio di Terracina per ricevere dei clienti.
In serata lascia lo studio. Deve recarsi presso la villa di Colle Piuccio per prendere i cani.
Arrivato nei pressi della sua villa scende dalla sua Nissan Terrano. Disinserisce l’allarme.
Varca il cancello e dopo pochi passi viene colpito alla schiena da un colpo di fucile da caccia.
Il tiratore era nascosto dietro una siepe all’angolo con via dello Scorpione.


L’avvocato Mosa muore sul colpo.
Ad ucciderlo una palla Brenneck sparata da un fucile calibro 12. Un pallettone da cinghiale, che presenta una deformazione segno che è stato sparato da un fucile a canna liscia con strozzatura. Pallettone usato anche per rapinare furgoni blindati.
L’assassino sicuramente conosceva molto bene il complesso di Colle Piuccio e gli spostamenti della vittima.
Ha usato un’arma e un pallettone che garantiva il risultato.
Le piste sono tante. Dal delitto per mano della camorra, ad una vendetta per la sua attività antiusura. La pista passionale.
Questa è la pista che viene battuta dagli inquirenti. Un delitto collegato a vicende passionali.
Verrà accusato, processato e assolto un uomo.
Nel 2003 la Guardia di Finanza sequestra in un capannone in via Colle Alba a Sabaudia dell’esplosivo e un fucile Browning calibro 12 a canne mozze con strozzatura. Potrebbe essere compatibile con l’arma del delitto ma non ci sono notizie di ulteriori sviluppi.
L’assassino decide di agire nel modo più “comodo” e sicuro. È stato sicuramente diverse volte nel complesso di Colle Piuccio.
Vuole essere certo della morte della vittima e usa un proiettile con elevata capacità di penetrazione.
Un delitto di malavita? Possibile ma sembra avere motivazioni diverse. Un po’ come nel caso dell’avvocato Mario Piccolino ucciso a Formia nel 2015 https://www.latinatoday.it/cronaca/omicidio-piccolino-condanna-20-anni-michele-rossi.html.
L’avvocato Mosa viene colpito alle spalle. A tradimento. L’assassino sapeva come allontanarsi dal complesso. Ammesso che si sia allontanato.
Sono state verificate tutte le dinamiche interne al complesso di Colle Piuccio? Tutte le persone che a vario titolo lo frequentavano?
Nel 1998 nel Basso Lazio due persone vennero uccise con un fucile da caccia, probabilmente a canne mozze, l’avvocato Vincenzo Mosa e a maggio ad Arce la guardia giurata Maurizio Polisena https://ilsud-est.it/attualita/inchiesta/2024/02/12/maurizio-polisena-laltro-mistero-di-arce/.
L’assassino di Vincenzo Mosa è ancora senza volto. Resta l’impressione che non sia così inafferrabile.
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