Cronaca
L’omicidio di Alina Cossu e l’importanza della Polizia Scientifica
Il vero ergastolo lo vivono i familiari delle vittime. Loro vivranno per sempre con il dolore e il vuoto di una morte per mano assassina.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Una persona si sveglia, va al lavoro, incontra gli amici, festeggia con la famiglia. Vede i figli crescere. Una persona come tante. Con una vita come tanti.
No, invece no. Questa non è una persona come tante. Perché è un assassino. Assassino rimasto senza volto. Autore di uno dei tanti delitti irrisolti. Uno dei tanti assassini che gira libero tra noi.
Forse si è seduto vicino a noi in treno, al bar. Forse gli abbiamo stretto la mano. Senza saperlo. Anche l’assassino di Alina Cossu gira libero da anni. Alina vive a Porto Torres, in Sardegna. Alina è una studentessa e lavora anche in un bar. Sempre a Porto Torres.
La sera, quando finisce di lavorare, torna a casa accompagnata dal fratello. Anche la sera del 9 settembre 1988 Alina finisce di lavorare. Ma non torna a casa con il fratello, c’ è una festa religiosa poco lontano. Forse vuole andarci. La cosa certa è che Alina scompare nel nulla.
Scatta subito l’allarme in famiglia. Iniziano le ricerche. Il corpo della ragazza viene trovato la mattina del 10 settembre 1988 su una spiaggia tra le scogliere di Balai e Abbacurrente.
La prima impressione è che Alina si sia gettata dalla scogliera. Basta poco per capire che non è così. Alina è stata picchiata brutalmente. Ha il segno di una scarpa sul viso. Ci sono anche segni di strangolamento.
Dei testimoni vedono una Fiat Ritmo nei pressi della scogliera. Le indagini passano al setaccio la vita di Alina. Una vita normale. Negli anni due saranno i filoni d’indagine. Entrambi collegati a proprietari di una Fiat Ritmo. Diversi saranno gli indagati ma non ci sarà un colpevole.
Vengono trovati indizi, insufficienti per una condanna. Nel 2013 il corpo di Alina viene riesumato nella speranza di trovare tracce biologiche dell’assassino. Speranza purtroppo vana.
Il caso di Alina Cossu rimane avvolto nel mistero. Come quello di Gisella Orrù, scomparsa da Carbonia il 28 giugno 1989 e ritrovata cadavere il 7 luglio dello stesso anno.
Perché non è stato individuato, per ora, l’assassino di Alina? Si è scritto che è stato fortunato, che ci sono stati errori nelle indagini, anche nel sopralluogo sulla scena del crimine. Nel 1988 non era ancora usata la tecnica del DNA ma esisteva già in Italia un protocollo di tecniche di Polizia Scientifica.
Basta leggere il testo “ La Polizia Scientifica “ di Rocco Paceri. Nel 1988 si potevano fare rilievi fotografici, rilievi descrittivi, rilievi planimetrici e rilievi di impronte più che sufficienti a “congelare” la scena del crimine.
Erano conosciuti anche i protocolli di repertamento. Erano inoltre già usate tecniche di fotografia agli infrarossi e ultravioletti oltre a reagenti per determinare se una sostanza è sangue.
Quello che mancava e che parzialmente manca anche oggi è la cultura dell’approccio scientifico alla scena del crimine. In Italia si è preferito affidarsi all’intuito e alle capacità analitiche dell’investigatore. Doti indispensabili ma non presenti nella stessa misura in tutti gli operatori di polizia giudiziaria.
Negli Stati Uniti la presenza di molte agenzie federali e centinaia di corpi di polizia locale ha creato il problema di uno standard non uniforme di qualità di operatori e mezzi. Per ovviare a ciò si è imposto un comune protocollo di indagine e sopralluogo così da garantire risultati accettabili anche con operatori e mezzi di qualità modesta. Ovviamente non mancano errori anche negli Stati Uniti, l’errore umano non è del tutto eliminabile.
Il sopralluogo sulla scena del crimine è di fondamentale importanza perché errori durante il sopralluogo possono portare danni gravissimi, a cui nemmeno le più moderne tecniche scientifiche possono portare rimedio.
I familiari di Alina Cossu hanno rifiutato l’intitolazione di una via alla figlia. Per loro è inaccettabile il pensiero che l’assassino, mischiato tra la folla, possa partecipare alla cerimonia. Hanno ragione.
Il vero ergastolo lo vivono i familiari delle vittime. Loro vivranno per sempre con il dolore e il vuoto di una morte per mano assassina. Risparmiamo loro, almeno , di vivere nella paura di poter stringere la mano ad un assassino senza volto.
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