Cronaca
Nada Cella, è tempo di giustizia non di pace
Una giovane segretaria entra nell’ufficio dove lavora. In un palazzo nel centro città. In pieno giorno e con diversi testimoni. Eppure la giovane segretaria viene uccisa e il suo omicidio ad oggi è impunito.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Una giovane segretaria entra nell’ufficio dove lavora. In un palazzo nel centro città. In pieno giorno e con diversi testimoni. Eppure la giovane segretaria viene uccisa e il suo omicidio ad oggi è impunito.
Simonetta Cesaroni, direte voi. Certo lei ma non solo. Questa volta il riferimento è a Nada Cella.
Uccisa il 6 maggio 1996 a Chiavari nello studio del commercialista dott. Marco Soracco in via Marsala 14.
Nada Cella viene uccisa con estrema violenza. Picchiata a mani nude e con un oggetto contundente mai ritrovato.
Le indagini, dal primo momento, sono concentrate sull’ambiente lavorativo.
Per anni il caso di Nada Cella era rimasto su un binario morto. Poi nel 2017 la criminologa Antonella Pesce Delfino entra in contatto con Silvana Smaniotto, la madre di Nada.
Antonella è la figlia dell’anatomopatologo Vittorio Pesce Delfino, che con impegno e dedizione aveva cercato di dare giustizia a Palmina Martinelli. La ricerca della verità come eredità di famiglia.
Dopo l’iniziale diffidenza dovuta a passate delusioni, la criminologa conquista la fiducia della madre di Nada.
Inizia così un nuovo cammino per la ricerca della verità.
Nel 2019, studiando le carte dell’inchiesta, Antonella Pesce Delfino scopre qualcosa di molto interessante.
Una relazione dei carabinieri su una donna. Da precisare che le indagini sulla morte di Nada Cella erano condotte dalla Polizia di Stato.
I carabinieri raccolgono degli elementi su una donna che aveva avuto dei contatti con Marco Soracco. Gli elementi a carico della donna sono di varia natura: in special modo dei testimoni e dei bottoni trovati a casa della sospettata simili al bottone ritrovato sulla scena del crimine.
Elementi che nel 1996 non vengono ritenuti sufficienti dopo una veloce verifica.
Antonella Pesce Delfino decide di valorizzare questi elementi che condivide con la Procura di Genova e con gli investigatori della Polizia di Stato.
La Procura dei Genova decide di indagare la donna, identificata in Anna Lucia Cecere.
Vengono disposte indagini genetiche, che però non offrono risposte derimenti.
I magistrati ritengono di avere comunque elementi sufficienti e chiedono il rinvio a giudizio per Anna Lucia Cecere. Chiedono il rinvio a giudizio anche per Marco Soracco e sua madre, nel loro caso per false dichiarazione al PM e favoreggiamento.
Nel marzo scorso il Gup ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio, non luogo a procedere. Elementi insufficienti. Niente processo. La Procura di Genova ha presentato ricorso.
Con degli articoli dedicati affronteremo i vari aspetti di questo intricato caso. Ora ci soffermiamo su un punto.
Il Gup ha ritenuto applicare la norma prevista nella riforma Cartabia: il rinvio a giudizio deve esserci quando c’è una ragionevole previsione di condanna.
Certo per garantire l’indagato. Allo stesso tempo l’applicazione troppo restrittiva della norma impedirà soprattutto i processi sui cosiddetti cold case.
Ad esempio, nel processo in corso per l’omicidio di Serena Mollicone ci sono solo elementi indiziari, quindi della stessa natura di quelli raccolti dalla Procura di Genova sull’omicidio di Nada Cella.
Sarà necessario che la Cassazione vada a pronunciarsi su un preciso punto: il Gup deve limitarsi a verificare se, usando una metafora, la Procura ha sul tavolo gli ingredienti per il piatto che vuole cucinare o può arrivare a pesarli ed assaggiarli? Nel secondo caso si rischia di limitare il ruolo della Corte d’assise.
Il processo per l’omicidio di Serena Mollicone è durato oltre un anno in primo grado e durerà almeno otto mesi in appello. Una Corte d’assise impiega mesi addirittura anni, mentre un Gup mediamente decide in due o tre udienze.
Il processo è garanzia anche per l’indagato che vedrebbe, in caso favorevole, una sentenza di assoluzione definitiva. Mentre il non luogo a procedere è revocabile. A garanzia dell’imputato era necessaria una norma per il rimborso da parte dello Stato delle spese di difesa in caso di assoluzione. Non una ghigliottina sul rinvio a giudizio.
Il contraddittorio in aula è basilare. Nel caso di Nada Cella aiuterebbe a capire perché lei si reca in ufficio il sabato prima del suo omicidio quando lo studio era chiuso, perché viene uccisa il primo giorno lavorativo successivo a quel sabato, perché l’assassino ha una tale furia omicida che trova sfogo mentre Nada lavora al computer. Potrebbero essere ricostruiti i movimenti delle persone coinvolte nelle giornate di sabato, domenica e lunedì. Con annesse dinamiche sentimentali e lavorative. Scavando anche nel passato.
Un ecclesiastico ha dichiarato che la madre di Nada non si mette il cuore in pace. Quando ti uccidono una persona cara non puoi avere pace. L’unico sollievo, parziale, è la giustizia.
Giustizia che, se passa l’interpretazione rigorosa della norma Cartabia, in molti potrebbero vedersi negata. Vogliamo questo?
RIPRODUZIONE RISERVATA ©