Attualità
Cronaca di ordinaria università
Anche quest’anno nelle strutture dell’università di Bari sono stati piantati gli alberi natalizi. Tanti studenti hanno appeso i loro bigliettini indirizzati a Babbo Natale, principalmente richieste di CFU o esami da passare. Tra questi, un ragazzo del Politecnico ha lasciato una preoccupante lettera in cui annunciava di volersi togliere la vita. Gli esperti della qualunque hanno sottolineato l’importanza della prevenzione, dell’ascolto, della famiglia per riconoscere segnali di sofferenza tra i giovani come cambiamenti emotivi repentini o comportamenti autolesionistici, mentre molti hanno letto tra le righe una implicita richiesta di aiuto. Io invece vedo il simbolo di un malessere diffuso, lo sfogo di tanti universitari pressati da un sistema decisamente tossico dove la vera sfida è riuscire a ritagliarsi una vita mentre si cerca di tenere la barra dritta.
di Alessandro Andrea Argeri
Anche quest’anno nelle strutture dell’università di Bari sono stati piantati gli alberi natalizi. Tanti studenti hanno appeso i loro bigliettini indirizzati a Babbo Natale, principalmente richieste di CFU o esami da passare. Tra questi, un ragazzo del Politecnico ha lasciato una preoccupante lettera in cui annunciava di volersi togliere la vita. Gli esperti della qualunque hanno sottolineato l’importanza della prevenzione, dell’ascolto, della famiglia per riconoscere segnali di sofferenza tra i giovani come cambiamenti emotivi repentini o comportamenti autolesionistici, mentre molti hanno letto tra le righe una implicita richiesta di aiuto. Io invece vedo il simbolo di un malessere diffuso, lo sfogo di tanti universitari pressati da un sistema decisamente tossico dove la vera sfida è riuscire a ritagliarsi una vita mentre si cerca di tenere la barra dritta.
Ci sono gli esami, la paura di non farcela, talvolta anche le pressioni della famiglia, in certi casi subentra persino il confronto sbagliato con i coetanei, in un ambiente sempre più simile alla scuola di Amici di Maria De Filippi, dove la competizione può arrivare a livelli tossici anche per un innocente lavoro di gruppo o una qualsiasi attività laboratoriale. Vogliamo davvero vivere un’università in cui se non ottieni il massimo fai schifo ma se ci riesci devi vergognarti perché rischi di essere guardato male?
In triennale ho conosciuto chi inventava voti mai presi, esami mai sostenuti, precedenti lauree mai conseguite, in pochi comprendono alcune essenziali verità: l’Università non è una gara; ognuno ha i suoi tempi; l’esame rappresenta la prestazione di quel giorno, non la preparazione in sé; la totalità di un individuo non può essere racchiusa nel numero di matricola né nel voto attribuitogli dal professore; paradossalmente, si raggiungono i migliori risultati proprio quando si comincia a fregarsene delle pressioni esterne per concentrarsi solo sul proprio apprendimento, la padronanza degli argomenti, la capacità di sviluppare un pensiero critico con quelle conoscenze. Ma come spiegare tutto questo quando le stesse istituzioni remano contro?
Rientrare nei tempi di una triennale è quasi impossibile. Le date sono poche, perdipiù sovrapposte, dunque o si danno più esami in un giorno oppure si è costretti a rinunciare a un appello, quando basterebbe organizzarli con più criterio in modo da rendere la sessione meno stressante. L’università capisce, cerca di venire incontro, così mette appelli straordinari per sedute di laurea altrettanto inconsuete, tuttavia si tratta di misure d’eccezione. Chi scrive è felice di vedere i propri compagni laureati a dicembre, ma erano davvero necessari questi correttivi? Non sarebbe stato meglio risolvere il problema alla radice, ovvero organizzare meglio gli appelli regolari? Magari aumentarne il numero siccome ne sono stati comunque aggiunti dei nuovi in extremis? Intanto più di qualcuno si è perso per strada perché non è riuscito a reggere un ritmo spesso disumano.
Sentiamo dire: “Non è una gara”, poi se vai fuori corso ti ammazzano di tasse; “il voto non conta”, però senza un determinato punteggio non puoi accedere né ai bandi di concorso né a determinate magistrali. Quando l’istruzione italiana darà davvero spazio alle competenze? Perché allora non diciamo la verità? Il sistema è marcio, programmato per lasciare indietro i più deboli o chi non ha la fortuna di essere studente a tempo pieno. Potremmo cambiarlo? Sì, d’altronde siamo noi a comporre le istituzioni, tuttavia non ci riusciremo perché negli atenei si teme di affrontare le questioni davvero inerenti al mondo universitario. Meglio allora concentrarsi sulle tampon box nei bagni, sull’indirizzo politico dei professori, sugli asterischi in fine di parola, su quale associazione abbia il banchetto più colorato. È triste, davvero triste, soprattutto quando poi si leggono i casi di cronaca, o i commenti conditi dalle solite frasi ormai diventate cliché.
Un in bocca al lupo a chi inizia la sessione. Colleghi, compagni, amici, vogliatevi bene: siete i vostri pensieri, non i vostri voti. Un augurio anche a chi si laurea a dicembre: hai raggiunto un grande traguardo, devi godertelo tutto! E se qualcosa andrà storto in futuro, riprovateci finché non raggiungerete l’obiettivo, certe volte bussare alla porta finché non si sfonda è il miglior modo per aprirla!
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