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L’uso improprio della verità storica nel processo penale

Non cadiamo nella tentazione di rifugiarci nella verità storica quando le nostre tesi non trovano riscontro in tribunale. Anche perché la verità storica richiede il vaglio della comunità scientifica.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Succede spesso. Sempre più spesso. Soprattutto dopo una assoluzione o una archiviazione. “Rispettiamo la sentenza ma sappiamo che la verità storica è diversa”.

È una affermazione corretta?

Iniziamo dalle basi. Cosa intendiamo per verità storica? “La verità storica è l’interpretazione che emerge da studi storici, condotti con metodo scientifico e avallati dalla comunità. Studi eseguiti in base alle fonti, al loro confronto e al loro inserimento in un filone storiografico”.

Quindi la verità storica si basa sullo studio delle fonti, sul metodo scientifico e soprattutto le conclusioni devono essere avallate dalla comunità. Non basta il parere di un singolo storico per fare la verità storica.

Molto si discute sulle differenze tra verità processuale e la verità storica. Tentando di indicare quella “migliore”.

In realtà sono complementari.

Un principio di irrinunciabile civiltà impone che la responsabilità penale deve essere accertata solamente attraverso il processo penale. In questo la verità processuale deve essere sovrana.

Cerchiamo di fare esempi pratici.

La verità storica ma anche processuale indica la forte penetrazione della loggia P2 di Gelli nei servizi di sicurezza italiani durante il periodo del sequestro Moro. Inoltre è storicamente dimostrato l’intreccio tra P2, eversione nera, pezzi dello Stato e componenti della cosiddetta Banda della Magliana. Una piovra tentacolare. Detto questo però la verità storica non può dimostrare la penale responsabilità di questa piovra sia come singoli o in associazione ex art 416 c.p. nella sparatoria di via Fani, nella gestione del rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro.

La verità storica può dimostrare la presenza in Vaticano negli anni 80 di fazioni contrapposte, di logge massoniche, di contrasti e via dicendo ma questo non può bastare a sostenere la responsabilità penale nella scomparsa di Emanuela Orlandi.

La verità storica è la cornice del quadro e l’ambientazione del dipinto ma tratteggiare i singoli volti dei protagonisti, rappresentare le loro azioni, spetta alla verità processuale. Soprattutto quando parliamo di eventi recenti e attuali con i protagonisti ancora in vita.

Ricostruire le dinamiche e i protagonisti di una congiura di un secolo fa è sicuramente compito dello storico. Individuare le dinamiche e gli autori di delitti recenti non può che essere compito dell’inchiesta condotta secondo le regole del codice di procedura penale e delle scienze forensi.

Anche nel delitto di Serena Mollicone qualcuno, dopo la sentenza del 12 luglio, invoca la verità storica. Per un delitto commesso 23 anni fa. Al limite la verità storica può stabilire che Arce era luogo di spaccio, di diverse attività illecite. Che era rifugio di criminali di spessore. Questo non basta per indicare gli autori e il movente dell’omicidio di Serena Mollicone.

Non cadiamo nella tentazione di rifugiarci nella verità storica quando le nostre tesi non trovano riscontro in tribunale. Anche perché la verità storica richiede il vaglio della comunità scientifica.

Abbiamo tutto il diritto di continuare a pensare che una persona sia colpevole nonostante le decisioni del tribunale. Opinione personale però che non può diventare verità passando per la scorciatoia della verità storica.

Diventa cruciale saper marcare il confine tra opinione personale e concetto di verità. Tenendo presente anche il confine tra libertà di espressione e reato di diffamazione.

La verità è un mosaico e una tessera fatta entrare a forza di martellate non è una prova.

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