Attualità
Il pericolo del processo mediatico
Il dubbio, che il giudice deve sempre coltivare, rimane il miglior argine contro le ingiustizie.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Il processo penale hai i suoi tempi. Spesso lunghi. Essendo la materia complessa e delicata è normale.
Allo stesso tempo la cronaca nera è molto seguita. Il pubblico segue con interesse. Il problema è che giornali, trasmissioni televisive e canali social non possono o non vogliono attendere i tempi della giustizia.
Hanno necessità di alimentare quotidianamente il dibattito. Servono visualizzazioni, vendite.
Così nasce il processo mediatico. Vengono resi noti solo documenti parziali, viene intervistato il consulente di turno o il famigliare della vittima.
Diritto all’informazione certamente. Purtroppo diventa informazione parziale e spesso di parte. Cosa normale se parliamo della casa del Grande Fratello o del divorzio di Totti ma estremamente pericoloso nelle vicende giudiziarie.
Il processo penale è incentrato su un principio di garanzia: il contraddittorio. Principio che nel “processo mediatico” non viene garantito.
Potrebbero far sorridere titoli di libri del tipo “tutta la verità su…” o affermazioni di parte come “abbiamo dimostrato la colpevolezza/innocenza di …”. Potrebbero far sorridere ma invece sono preoccupanti. Perché tendono ad usurpare il ruolo del giudice.
Ovviamente la verità processuale non necessariamente è la verità effettiva. Nessun processo umano è perfetto essendo l’uomo imperfetto.
Un giudice, però, prima di emettere sentenza legge migliaia di atti, ascolta centinaia di testimoni. Applica la legge e non il sentimento popolare.
Certo che si può anzi si deve criticare una sentenza. Dopo e solo dopo aver letto tutti gli atti, nessuno escluso.
Non è il caso poi di parlare di verità storica per bypassare le sentenze che non ci piacciono. La verità storica è frutto di un lavoro di ricerca, con criteri scientifici, fatto da storici altamente preparati che non hanno alcuna intenzione di sostituirsi ai giudici.
Una sentenza di assoluzione non può essere sostituita da una sentenza mediatica di condanna mascherata da verità storica.
Gli atti processuali sono difficilmente consultabili e comunque il cittadino medio non ha nessuna voglia di farlo. Forse cento persone leggono le motivazioni di una assoluzione mentre sicuramente migliaia di persone hanno nella mente le parole indignate di parenti delle vittime e dei consulenti di parte che contestano una sentenza.
I social hanno cambiato anche la cronaca nera. Fruibile da tutti. Questo è un bene ma anche un grosso pericolo. Perché la verità processuale è garanzia di convivenza civile.
L’emotività è il “carburante” della cronaca nera ma non può trovare posto in aula di tribunale.
Un medico non prescrive la cura basandosi sui desideri del paziente ma si attiene a scienza e coscienza. Allo stesso modo un giudice non può prescindere dai fatti e dalla Legge.
Non può essere tollerato un marchio di condanna mediatico a dispetto delle risultanze processuali. Il dubbio, che il giudice deve sempre coltivare, rimane il miglior argine contro le ingiustizie.
Ingiustizia che potrebbe colpire ciascuno di noi e chiediamoci sempre da chi vorremmo essere giudicati: da un giudice terzo e preparato o dal tribunale del web?
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