Attualità
Buon 25 aprile, tra autodifesa e democrazia
25 aprile, festa della Liberazione. Mentre sembriamo rivivere le follie sanguinarie degli imperialismi, ricordiamo il significato della lotta partigiana per la libertà attraverso le parole di Aldo Moro, Carlo Smuraglia, Liliana Segre, Sergio Mattarella.
di Alessandro Andrea Argeri
La Repubblica è nata dall’antifascismo, eppure il violento estremismo di destra resta un problema vivo all’interno sia delle nostre istituzioni sia di una fetta, per quanto esigua, di cittadini con le idee poco chiare in merito alla “libertà d’espressione”. Mai come ora siamo chiamati a riflettere sull’eredità tramandataci dalla Liberazione, oltre che sul significato dell’essere “partigiani”.
“L’ acquisizione della democrazia non è qualche cosa di fermo e di stabile che si possa considerare raggiunta una volta per tutte. Bisogna garantirla e difenderla, approfondendo quei valori di libertà e di giustizia che sono la grande aspirazione popolare consacrata dalla Resistenza. Il nostro antifascismo non è dunque solo una nobilissima affermazione ideale, ma un indirizzo di vita, un principio di comportamenti coerenti. Non è solo un dato della coscienza, il risultato di una riflessione storica; ma è componente essenziale della nostra intuizione politica, destinata a stabilire il confine tra ciò che costituisce novità e progresso e ciò che significa, sul terreno sociale come su quello politico, conservazione e reazione”. Sembrano pronunciate poche ore fa le parole del presidente Aldo Moro in un discorso dedicato alla Liberazione, tenuto a Bari il 21 dicembre 1975. Tre anni più tardi, il 9 maggio 1978, il “martire laico” sarebbe stato ucciso dalla brutalità terroristica e criminale.
2022. A distanza di quarantaquattro anni forse un uomo della caratura di Moro avrebbe saputo fronteggiare l’attuale instabilità politica. Sicuramente sarebbe stato l’europeista di cui abbiamo disperatamente bisogno per contrastare i populismi di chi ci ha letteralmente venduti alle dipendenze della dittatura, oltretutto a nostra insaputa. Celebriamo dunque la Liberazione, mentre a poche centinaia di chilometri da noi è in corso una guerra di aggressione, dalla quale non si profilano pieni vincitori né vinti, indipendentemente da quale sarà l’epilogo, come d’altronde accade in ogni conflitto.
Tra gli insegnamenti più importanti ricavabili dalla lotta partigiana uno risalta più degli altri se contestualizzato nel nostro presente: l’affermazione del concetto di autodeterminazione dei popoli. I partigiani del ’44-’45 hanno indubbiamente salvato l’Italia dal pesante giudizio della Storia. Proprio grazie al coraggio di quegli uomini infatti possiamo non considerarci un Paese macchiato per sempre dall’incapacità di liberarsi dalla dittatura, dalla violenza, dall’oppressore. È merito di quella generazione fortemente animata dal senso democratico se quasi un secolo dopo sediamo ai tavoli europei da protagonisti. Ebbene mi domando: perché allora proprio noi italiani, col nostro fiero trascorso di eroica resistenza, dovremmo cedere alle richieste di chi vuole cancellare la democrazia?
Il presidente emerito dell’ANPI, Carlo Smuraglia, si è espresso a favore dell’invio di materiale bellico al popolo ucraino, così come anche Liliana Segre ha sostenuto l’importanza dell’invio di armi necessarie alla difesa, perché i proiettili non si fermano con la retorica da salotto. Meglio con la diplomazia, ma “i matrimoni si fanno in due”. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, sempre la senatrice a vita ha dichiarato: “Sarà un 25 aprile diverso quest’anno in cui la guerra è tornata nel cuore dell’Europa […] Mi auguro al più presto la pace. L’equidistanza non è possibile, il popolo ucraino è stato aggredito dai russi e la sua resistenza va sostenuta. La storia mostra che la pace non si ottiene restando indifferenti o attraverso progressivi cedimenti agli aggressori, ma garantendo una convivenza tra i Paesi basata sul diritto e sul rispetto“. Parole chiare, forti, piene di significato, provenienti da chi durante la dittatura non ha avuto “un’infanzia felice”.
Concludiamo infine con le parole di un altro saggio uomo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al suo secondo mandato, il vero nonno al servizio delle istituzioni. “Dal nostro 25 aprile viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. A praticare il coraggio di una de-escalation della violenza, il coraggio di interrompere le ostilità, il coraggio di ritirare le forze di invasione. Il coraggio di ricostruire“. Pace, resistenza, ricostruzione.
Chiaro quindi da quale parte schierarsi, perché essere “partigiano” significa proprio “parteggiare”, “prendere parte”, anziché assimilarsi alla massa informe degli odiosi indifferenti. Poi, è ovvio, con le capacità di ragionamento siamo un po’ messi male se il dibattito mediatico impiega due mesi per decidere se essere a pro o contro la guerra. I nomi di Aldo Moro, Carlo Smuraglia, Liliana Segre, Sergio Mattarella, indicano non solo cittadini armati di un forte senso civico, ma anche importanti menti ben consapevoli della nostra storia, oltre che della necessità di difendere a tutti i costi la libertà, quella vera.
Appare dunque evidente il bisogno per qualche eminente professore sempre pronto ad incitare alla dittatura davanti alle telecamere, mentre al contempo si lamenta di non andare in televisione, di ripetere la storia prima di idealizzare certi periodi bui come fossero le proprie visioni oniriche. Sotto effetto di oppiacei Coleridge scrisse “Khubla Khan”. Qualcun altro invece esprime concetti ben più contraddittori, forse senza nemmeno ricorrere all’abuso di droghe… Ma la guerra, sì, sa, ci rende tutti un po’ più stupidi. Come si dice in gergo? “Scemi di guerra”. Buon 25 aprile, a chi non si arrende al totalitarismo, a chi è disposto a lottare per la libertà, a chi è partigiano.
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