Attualità
Elezioni, ha vinto il partito del non voto
L’affluenza elettorale è crollata drasticamente a causa dell’astensionismo: gli italiani non votano più, sono diventati nichilisti nei confronti delle istituzioni.
di Alessandro Andrea Argeri
In Italia non si vota più, il voto non è più sentito né come un diritto né come un dovere. Gli italiani, un tempo almeno miscredenti, sono ormai diventati atei nei confronti delle istituzioni, non a caso alle elezioni da quasi dieci anni a questa parte vince sempre “il partito del non voto”.
Il Presidente Moro incitava a “parteggiare”, a prendere parte alla vita pubblica in quanto diritto, dovere, obbligo morale, poiché anche in tale rapporto con la società consisteva “l’essere partigiani”. Tuttavia dagli anni settanta ad oggi la partecipazione alle urne è sempre più in calo ad ogni votazione. Nelle ultime elezioni politiche svoltesi ad ottobre 2021 in particolare, l’affluenza è passata dal 60% del 2017, anche allora minimo storico, al 54%, attualmente la percentuale più bassa in assoluto registrata in Italia fino ad ora, la quale evidenzia come solo circa un italiano su due si è presentato alle urne.
Se non si guardasse l’affluenza ma esclusivamente il risultato, le conclusioni delle votazioni comunali, in particolare a Milano, Napoli, Roma, sarebbero le seguenti: i sovranisti hanno perso, Conte funziona solo sui social, i pentastellati sono ora fatalmente inesistenti ovunque hanno governato, il Partito Democratico invece, vince solo se riformista oltre che slegato dai Cinque Stelle, mentre se insegue i populisti ne esce miseramente sconfitto. Apparentemente può dunque aver vinto la sinistra, avrebbe pure potuto vincere la destra, tuttavia con tali numeri di astensionismo qualsiasi successo resta comunque una vittoria vuota.
Se una democrazia si fonda sul voto dei cittadini, un calo così drastico è sintomo di una crisi istituzionale. A tal proposito sono molteplici le cause per le quali gli italiani sembrano affetti da una “sindrome dell’astensionismo”. Innanzitutto è innegabile come la politica abbia perso totalmente il contatto con la realtà: il luogo mistico in cui ogni giorno si sviluppano le problematiche del Paese. I cittadini non hanno più fiducia nei candidati, pertanto il dissenso si manifesta con l’astensione al voto, non a caso si è votato meno proprio nelle periferie, seguite a ruota dai piccoli centri cittadini. In pratica, la politica è ormai un’attività a cui si avvicinano solo radical chic, cantanti in procinto di pubblicare il nuovo disco, blogger, aristocratici o nullafacenti, mentre i pochi con buone idee, colpevoli di crederci ancora, restano inascoltati, quando non vengono aggrediti da arringhe populiste nemmeno minimamente vicine alla concezione di dibattito.
Promesse utopiche, programmi tutti uguali, parole al vento, problemi reali ben diversi dai temi fieramente esposti dalla propaganda, delusioni generano apatia politica in una società disillusa nei confronti di un possibile cambiamento in meglio. Dalla lucida consapevolezza di “aver capito il gioco” si arriva dunque alla totale sfiducia nei confronti dello Stato oltre che nelle sue istituzioni, col conseguente verificarsi del fenomeno dell’astensionismo, giudicato da alcuni un grave crimine costituzionale, un insulto nei confronti di chi per il diritto di voto ha perso la vita, mentre per altri è semplicemente una forma di protesta, talvolta di espressione della propria opinione contro un metodo di politicizzare rivolto esclusivamente all’accumulo di voti, in un paese democratico estremamente lontano dal concetto di democrazia, assolutamente non rappresentativa, ogni giorno sempre più estranea ai cittadini. L’astensionismo quindi non è solo una scelta di non voto, ma una critica stessa alle istituzioni.
La scarsa affluenza elettorale, ma più generalmente l’assenza alla partecipazione politica si registra maggiormente nei giovani elettori. A tal proposito risultano ancora più significative le parole del professor Galimberti nel libro “L’ospite Inquietante”, i cui viene espressamente dichiarato come “i giovani sono diventati nichilisti”: manca lo scopo, la risposta al perché, i valori, per i quali l’individuo ambisce al nulla, smette di affidarsi a cieche speranze, o alle tipiche parole della passività quali “speriamo”, “proviamo”, “vediamo”. In Italia il futuro non esiste, anzi, la sola idea crea paura, non è una promessa, ma una minaccia imprevedibile, pertanto crea disagio.
Ma oltre alla disillusione sociale alla base della scarsa affluenza elettorale c’è una ragione ancor più profonda, recondita nella crisi dei partiti, sfaldati, confinati nei gazebo, quasi totalmente assenti nelle piazze, inesistenti nelle periferie, per questo ormai incapaci di portare gli elettori alle urne. I cittadini non votano perché cambiano i Governi senza però migliorare le condizioni di vita, perché la democrazia si basta sul voto, ma intorno ad alternative reali.
Si arriva allora a Mario Draghi: il simbolo della crisi della politica, della debacle dei partiti, il tecnico a cui un Parlamento auto-esautorato di una democrazia parlamentare ha consegnato le chiavi del potere perché vistosamente incapace di trovare la quadra, delle serie “i politici parlino pure, così nel mentre i tecnici lavorano”.
In conclusione, il fenomeno dell’astensionismo può riassumersi così: agli italiani è precluso il voto, però quelle poche volte in cui si più votare alle urne si presentano quasi solo i candidati. Forse anche per questo abbiamo governi incapaci di rappresentarci. Paradossalmente infatti, non votare lascia il posto a rappresentanti illegittimi, ovvero proprio coloro i quali si è deciso di non votare.
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