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NERVI TESI FRA WASHINGTON E PECHINO PER GUERRA DEI CHIP

“L’occidente non inizia le guerre, le provoca” Diplomatico Anonimo

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Credit foto https://www.elettronicaemercati.it/semiconduttori-e-guerra-fredda-tra-cina-e-stati-uniti/

Di Fulvio Rapanà

“L’occidente non inizia le guerre, le provoca” Diplomatico Anonimo

Alle 2 di notte del 7 dicembre 1941 il presidente Roosevelt fu svegliato per comunicargli che i giapponesi stavano attaccando la base  di Pearl Harbor. 80 anni dopo Biden è stato svegliato nella notte del 28 di agosto dalla ministra del commercio Usa Gina Raimondo, in visita a Pechino, per avvertirlo che nel cellulare Mate Pro 60 della Huawei era stato installato un chip, il Kirin 9000s        “ che i cinesi non dovrebbero avere”. Senza volersi addentrare in spiegazioni tecnologiche il Kirin 9000s è  un  microprocessore estremamente sottile,  intorno ai 7 nanometri, ma con una potenza di calcolo di  350 megabyte al secondo, quasi eguale a quella delle rivali Samsung e soprattutto  l’iPhone. Un chip che sarebbe stato sviluppato dalla HiSilicon, divisione design della Huawei e prodotto  dalla Smic (Semiconductor Manufacturing International Corp). Un successo che dimostrerebbe quanto le aziende cinesi, nonostante le attività di decoupling tecnologico messo in piedi da Usa e alleati,  abbiano ridotto il gap con gli Stati Uniti, riuscendo in breve tempo a realizzare  in proprio software e attrezzature per produrre chip molto avanzati. L’esistenza del Kirin 9000s  pone all’occidente una serie di questioni : prima,come sia stato possibile che pur in presenza di restrizioni  e sanzioni al  commercio di tecnologia verso le aziende cinesi queste siano riuscite a produrre un chip tecnologicamente tanto avanzato in un tempo cosi’ breve; secondo:che tipo di ulteriori restrizioni e sanzioni assumere per provare a rallentare ancora di più le capacità ingegneristiche e produttive dei colossi cinesi di chip; terzo, la realizzazione del Kirin 9000s  rafforza i dubbi sull’efficacia delle restrizioni  che colpiscono in modo grave i conti economici delle aziende occidentali e toglie dal mercato il più importante cliente del settore a livello mondiale.

Sulla prima questione, indagare come abbia fatto Huawei  a realizzare questo chip e se è stato illecitamente aiutato da una o più aziende occidentali non è  di secondaria importanza in quanto se gli Usa non agissero con durezza contro chi ha eventualmente violato le restrizioni è probabile che altri fornitori riprenderebbero a fornire tecnologia e macchinari alla Huawei e alle altre aziende cinesi sotto embargo e l’intero sistema delle sanzioni crollerebbe.

Sul secondo punto  il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato nuove restrizioni di vendita alle aziende cinesi di chip   che dovrebbero permettere di correggere le falle che sono state riscontrate dopo l’imposizione del primo round di restrizioni all’esportazione di chip alla Cina, nel 2022 e che colpirebbero in particolare i chip utilizzati per la produzione di dispositivi basati sull’intelligenza artificiale.

Sostanzialmente gli Stati Uniti con queste nuove restrizioni, che utilizzano le regole del “Foreign Produced Direct Product” (FPDP) della “sicurezza nazionale”, stanno dichiarando la ‘militarizzazione’ dell’intero sistema tecnologico americano e occidentale in relazione all’esportazione verso la Cina  di prodotti,  attrezzature e software in cui  direttamente o indirettamente vi sia tecnologia Usa. Vi rientrano oltre ai chip di fascia alta anche  quelli  utilizzati per la produzione di pc,  i frigoriferi e i videogiochi, i cui produttori  devono sottostare al rilascio di una “licenza” di esportazione.  E’ un “decouplig” di dimensioni colossali che investe non solo le aziende tecnologiche americane, ma anche giapponesi, taiwanesi e olandesi. Il nocciolo della questione posto dalla SIA  (Semiconductor Industry Association) è che le restrizioni riguardano aziende al 100% private, le quali danno conto ai loro soci e azionisti, a da cui emergono dubbi o posizioni contrarie che vedono nelle restrizioni al mercato cinese un rischio per il proprio business e per la continuità dell’innovazione americana. In un comunicato stampa la SIA afferma                      “ Permettere all’industria di continuare ad accedere al mercato cinese, il più grande mercato commerciale al mondo per i semiconduttori di base, è importante per evitare di compromettere la leaderchip Usa nelle tecnologie elettroniche avanzate. Inoltre le ripetute misure volte a imporre restrizioni troppo ampie, ambigue e talvolta unilaterali rischiano di ridurre la competitività dell’industria statunitense dei semiconduttori, di interrompere le catene di fornitura, di causare una significativa incertezza del mercato e di provocare una continua escalation di ritorsioni da parte della Cina”.

I maggiori produttori americani di chip sostengono che “senza la Cina, le aziende statunitensi e occidentali perderebbero un mercato di riferimento enorme. Le vendite nel settore dei semiconduttori, in particolare nel segmento del “design”, della progettazione, dove gli Stati Uniti guidano con più del 48% del mercato globale, sono funzionali all’innovazione, alla ricerca e sviluppo e agli investimenti che sempre di più dipendono dal fatturato ”. Una misura che, secondo il chief financial officer di Nvidia potrebbe comportare “una perdita permanente di opportunità per l’industria americana”, verso la Cina, qualora venisse proibita anche la vendita di chip per l’intelligenza artificiale. Restrizioni che, tuttavia, rispondono all’ imperativo categorico della sicurezza nazionale confermato  dal portavoce del National Security Council le restrizioni  sarebbero state impostate con precisione per focalizzarsi su tecnologia con implicazioni per la sicurezza nazionale e per assicurare che le tecnologie americane e alleate non siano usate per compromettere la nostra”. Un delicato equilibrio tra mercato e sicurezza. Secondo i dati forniti da  SIA , le grandi compagnie tech americane faticherebbero a sopportare, in termini di entrate, un totale decoupling dalla Cina. Qualcomm, azienda leader nel design di chip, insieme a Broadcomm, Nvidia, AMD, Apple e Intel solo nel 2022 hanno totalizzato 345 miliardi di dollari di vendite. Se guardiamo alla situazione Usa più alleati  le tensioni geopolitiche e la guerra tecnologica tra USA e Cina si fanno sentire in modo significativo con un tonfo del 23% del mercato calcolato a Maggio  2023, (40.7 miliardi contro i 52.7 di maggio 2022).

Robert D. Atkison, direttore del think tank Information Technology & Innovation Foundation (Itif), ha  ribadito quanto sia fondamentale ai settori con alti costi fissi e di capitale, come appunto quello dei semiconduttori, che rappresenta per l’economia Usa  il quinto per export (575 miliardi)  nel 2022, l’accesso ai mercati globali. “Considerando che i costi per disegnare un chip sono elevatissimi (circa 540 milioni di dollari per un chip da 5 nanometri) e crescono esponenzialmente con la miniaturizzazione, prima di recuperare gli investimenti iniziali in R&D le aziende devono poter vendere milioni di singole unità”. Una equazione semplice “se non possiamo vendere ai Cinesi non avremo le risorse economiche  per fare sviluppo e mantenere la nostra leaderchip ”. Ora la realtà dell’ esistenza del Kirin 9000s manda all’aria tutte le prospettive di ostacolare per anni lo sviluppo tecnologico cinese. Gary Hufbauer, del Peterson Institute, in un articolo pubblicato nel dicembre 2022 scrive “ i semiconduttori avanzati sono considerati essenziali per la sicurezza nazionale degli Usa ma anche di Pechino che sta adottando l’approccio dell’ “intera nazione” e investendo notevoli risorse nel settore.E’ probabile che molti ingegneri e scienziati informatici, di cui la Cina è ben dotata, vengano assegnati alla progettazione e produzione di semiconduttori a tutti i livelli. Le restrizioni sulle esportazioni non paralizzeranno l’esercito cinese e esperti del settore concordano sul fatto che la Cina ha la capacità tecnica di produrre chip all’avanguardia”.    

Intanto Pechino reagisce. Sul fronte interno rilancia pianificando un nuovo round di investimenti pubblici da circa 40 miliardi di dollari per supportare l’autonomia tecnologica della sua industria dei semiconduttori. La manovra è finalizzata a far emergere  piccole-medie aziende altamente innovative che possano consentire al paese un salto di qualità nella costruzione di un ecosistema svincolato dalle forniture occidentali. Sul fronte esterno Pechino non risparmia qualche bastonata alle economie occidentali attuando restrizioni all’export di materie prime critiche, come gallio, germanio  e terre rare essenziali in settori, come i beni di largo consumo e veicoli elettrici, in cui l’industria occidentale è più esposta.

La speranza è che nell’incontro di San Francisco di questi giorni le due potenze trovino convenienza reciproca a fissare punti di incontro e migliori canali di comunicazione e di mediazione. Se è vero che come a detto Xi Jimping “il mondo è grande” è altrettanto vero che nella storia non vi sono mai state due potenze imperiali predominanti e se è successo, come per 50 anni con Usa e Urss, sempre la storia ci conferma che prima o poi una delle due declina a favore dell’altra.

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