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28 Aprile 2025

I Partigiani sovietici in Italia

Un’occasione importante per riflettere sul ruolo svolto da circa 5.000 ex prigionieri di guerra sovietici che, fuggiti dai campi di concentramento nazisti, si unirono alle formazioni partigiane italiane. Ben 429 di loro persero la vita combattendo per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

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La Casa Russa a Roma celebra gli 80 anni della Grande Vittoria: omaggio ai partigiani sovietici in Italia

Di Maddalena Celano

Giovedì 24 aprile 2025, la Casa Russa a Roma ha commemorato l’80° anniversario della Grande Vittoria con una serie di eventi dedicati al contributo dei soldati sovietici al movimento di Resistenza europeo. Un’occasione importante per riflettere sul ruolo svolto da circa 5.000 ex prigionieri di guerra sovietici che, fuggiti dai campi di concentramento nazisti, si unirono alle formazioni partigiane italiane. Ben 429 di loro persero la vita combattendo per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Nel pomeriggio è stata inaugurata la mostra “Partigiani sovietici in Italia”, che ha raccontato, attraverso pannelli fotografici e documenti d’epoca, lo sviluppo della Resistenza nelle diverse regioni italiane. Tra i materiali esposti, grande interesse hanno suscitato le prime pagine originali dei quotidiani italiani di aprile e maggio 1945, provenienti da una collezione privata. A seguire, un convegno con ospiti illustri ha arricchito la giornata. Konstantin Pevnev, membro del consiglio direttivo della Società Storica Russa, ha sottolineato l’importanza della memoria condivisa. L’editore Sandro Teti ha presentato il volume I partigiani sovietici nella Resistenza italiana, mentre la scrittrice Marta Tongiani ha approfondito il tema della Resistenza Apuana e del supporto offerto dai combattenti sovietici. L’antropologo Silvio Marconi ha proposto un’analisi originale dei riflessi russi nei canti e nei simboli della Resistenza italiana. Il ricercatore Michail Talalay ha illustrato il documentario Li chiamavano russi. Il fronte più lontano, le cui riprese si sono svolte in Italia nel 2024. I partecipanti hanno potuto assistere alla proiezione in anteprima del film, accompagnato da sottotitoli in italiano. La serata si è conclusa con il concerto “Sinfonia della Grande Vittoria”, eseguito dall’Ensemble vocale Altro Coro dell’Accademia Russa di Musica Gnesin, diretto dal rettore Alexander Ryzhinsky. Il repertorio ha incluso brani iconici della Grande Guerra Patriottica come Notte buia, Le strade, Ci basta una sola vittoria e Sulla quota senza nome. L’evento ha visto una partecipazione ampia e sentita, testimoniando il vivo interesse per la memoria storica e il legame di solidarietà tra i popoli nella lotta contro il fascismo.

Demistificare la Storia: Pogrom, Propaganda e Miti sulla Seconda Guerra Mondiale

L’ evento ha avuto, tra le tematiche principalmente trattate, il problema della narrazione dominante della Seconda Guerra Mondiale, spesso semplifica, romanticizza o strumentalizza eventi complessi. Questo saggio affronta due tra le mistificazioni più persistenti: i pogrom antiebraici in Polonia nel dopoguerra e il mito di un incontro diretto tra Adolf Hitler e Joseph Stalin, usato per promuovere una presunta alleanza ideologica tra nazismo e comunismo.

1. Pogrom in Polonia: l’antisemitismo sopravvive alla guerra

Contrariamente a una visione che limita l’antisemitismo al nazismo, la Polonia del dopoguerra fu teatro di gravi episodi di violenza antiebraica. Il più noto è il pogrom di Kielce del 4 luglio 1946, dove 42 ebrei furono massacrati a seguito di accuse infondate di rapimento rituale. Analoghi episodi si verificarono a Cracovia nel 1945. Molti sopravvissuti alla Shoah tornarono in patria solo per affrontare ostilità e aggressioni. Questi eventi evidenziano la persistenza di un antisemitismo radicato anche dopo la fine del conflitto.

2. Il falso mito dell’incontro Hitler-Stalin

Un altro mito diffuso è quello di un incontro personale tra Hitler e Stalin, mai avvenuto. A generare confusione è stato il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, un accordo di non aggressione fra Germania nazista e URSS, che non implicava alcuna comunanza ideologica. Con l’invasione dell’URSS nel 1941, Hitler ruppe il patto, aprendo il fronte orientale. L’URSS ebbe un ruolo determinante nella sconfitta del nazismo, pagando il più alto tributo di sangue.

Tra i principali fautori di questa mistificazione:

  • Viktor Suvorov (Vladimir Rezun), autore di Il Rompighiaccio, secondo cui Stalin pianificava un attacco all’Europa.
  • Ernst Nolte, storico tedesco che tentò di equiparare moralmente comunismo e nazismo.
  • Opinionisti della destra anticomunista europea che usano tali miti per riscrivere la storia in chiave revisionista.

Demistificare la storia significa riconoscerne la complessità, restituendo dignità alla memoria. I pogrom in Polonia mostrano che l’odio antiebraico non finì con il Terzo Reich; il mito dell’incontro tra Hitler e Stalin è un artificio ideologico anticomunista. Solo una lettura critica e documentata può condurre a una memoria autentica e liberatrice.

Gli Uzbechi nella Lotta contro il Nazifascismo: un sacrificio dimenticato

Durante l’ incontro, si è discusso spesso del ruolo “dimenticato” della popolazione uzbecha. Durante la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica affrontò l’invasione nazista con l’impegno congiunto di tutte le sue repubbliche. Tra queste, l’Uzbekistan – allora parte dell’URSS – offrì un contributo fondamentale, spesso ignorato dalla narrazione eurocentrica. Circa 1,5 milioni di uzbechi furono arruolati nell’Armata Rossa; oltre 570.000 morirono in battaglia. Il contributo uzbeco si espresse anche sul piano economico e morale. Tashkent, la capitale, divenne un centro di accoglienza per rifugiati e bambini evacuati dal fronte. La solidarietà della popolazione superò barriere culturali ed etniche. Una figura simbolo è il Generale Sobir Rakhimov, primo uzbeco a ottenere un alto grado militare nell’Armata Rossa, caduto nel 1945. Accanto a lui, soldati semplici come Zubayr Bobojonov e numerose donne uzbeche – infermiere, combattenti – diedero un contributo fondamentale. Ricordare il sacrificio uzbeco significa rifiutare ogni forma di revisionismo e riaffermare l’importanza della solidarietà internazionale nella lotta contro il totalitarismo.

Quando l’Armata Rossa incontrò la Resistenza: i partigiani sovietici in Italia e la memoria ritrovata

Nell’immaginario collettivo, la Resistenza italiana è popolata quasi esclusivamente da eroi nazionali. Tuttavia, dagli anni Novanta – grazie al lavoro dello storico Michail Talalay – è emersa una verità dimenticata: centinaia di ex prigionieri sovietici, deportati nei campi nazisti italiani, fuggirono e si unirono ai partigiani. Più di 5.000 soldati sovietici si integrarono nelle formazioni italiane, partecipando attivamente alla lotta contro il fascismo. Di questi, 429 morirono per la libertà dell’Italia. Le loro storie, a lungo ignorate, sono oggi finalmente riscoperte attraverso documentari, pubblicazioni e iniziative commemorative. Ricordare il loro sacrificio significa riscrivere la memoria della Resistenza in chiave internazionalista, rendendo giustizia a chi, da lontano, scelse di combattere per un ideale universale di libertà. Durante l’incontro è stata inoltre ricordata la figura del compagno sovietico della partigiana  Negrini, la cui militanza e dedizione internazionalista rappresentano un esempio di collaborazione tra rivoluzionari di diverse latitudini, uniti dalla lotta contro il fascismo e per l’emancipazione dei popoli. ​Il compagno sovietico della partigiana Gina Negrini si chiamava Nuri Aliev. Nato a Baku, in Azerbaijan, il 6 gennaio 1923, Aliev fu catturato dai tedeschi sul fronte orientale durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo essere riuscito a fuggire, si unì alla Resistenza italiana, militando nella brigata partigiana “Stella Rossa” e successivamente nella brigata “Bolero” dal dicembre 1944 all’aprile 1945. Durante un periodo di convalescenza a Bologna, dove era ricoverato per le ferite riportate in combattimento, conobbe Gina Negrini. I due si innamorarono e si sposarono il 12 aprile 1946 nella chiesa ortodossa di via Ponchielli a Milano, dopo che Nuri, di fede musulmana, si convertì al cristianesimo ortodosso per poter celebrare il matrimonio. ​Poco dopo le nozze, un ufficiale sovietico propose a Nuri di rientrare in patria. La coppia accettò e partì insieme all’ufficiale. Tuttavia, una volta giunti a San Valentino di Linz, in Austria, furono internati in un campo di concentramento sovietico. Nonostante Gina avesse con sé documenti che attestavano il loro contributo alla Resistenza, questi furono ignorati e distrutti dalle autorità sovietiche. Dopo alcuni mesi, Gina fu costretta a rientrare in Italia, mentre Nuri fu deportato in Siberia, accusato di alto tradimento per essere stato fatto prigioniero dai tedeschi e per non essere morto in combattimento. Da allora, Gina non ebbe più notizie certe del marito, ricevendo solo una lettera in cui Nuri le comunicava di trovarsi in Siberia e di sperare di poter tornare in Italia. ​

Questa vicenda personale di Gina Negrini e Nuri Aliev rappresenta un esempio emblematico delle complesse e spesso tragiche intersezioni tra amore, guerra e ideologia nel contesto della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra

Il legame tra la partigiana Negrini e il suo compagno sovietico non fu solo personale ma anche profondamente politico, incarnando quell’internazionalismo militante che ha ispirato tante donne e uomini a unirsi oltre i confini nazionali nella costruzione di un mondo più giusto. La loro storia si è intrecciata con i grandi eventi del Novecento, offrendo spunti preziosi di riflessione su temi centrali dell’incontro, quali l’antifascismo, il socialismo reale e l’importanza della solidarietà internazionale.