10 Febbraio 2025
CRONACHE TRAMPIANE: LE FICHES IN ARIA E LA REPUTAZIONE USA SOTTO I TACCHI
La sistematica demolizione dello stato di diritto e del diritto internazionale attuato da Trump e dai suoi picari sommate alle acrobazie tariffarie hanno dominato i titoli dei giornali e riportato l’attenzione sulla rinascita del nazionalismo politico ed economico, non solo negli Stati Uniti .
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Di Fulvio Rapanà
La sistematica demolizione dello stato di diritto e del diritto internazionale attuato da Trump e dai suoi picari sommate alle acrobazie tariffarie hanno dominato i titoli dei giornali e riportato l’attenzione sulla rinascita del nazionalismo politico ed economico, non solo negli Stati Uniti . Prima ha annunciato dazi del 25% su Canda e Messico e del 10% sulla Cina, poi a seguito due “telefonate” ha rinviato di 30gg la partenza dei dazi su Canada e Messico. Ha anche minacciato dazi alla Colombia che si rifiutava di riprendersi 25 colombiani irregolari negli Stati Uniti. Ha inviato Rubio, nuovo Segretario di Stato, a minacciare il governo di Panama che si sarebbe ripreso con la forza il Canale se non avesse provveduto a sfrattare, a calci nel sedere, i cinesi che a loro spese hanno costruito non basi militari ma un grande porto logistico . In questi ultimissimi giorni ha proposto di occupare la Striscia di Gaza deportando due milioni di persone, in un posto più sicuro!!, per costruire grandi resort, alberghi e residence. Si vede che ha l’animo buono. Ha fatto uscire gli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) , dall’Accordo di Parigi sul clima. Ha ritirato la rappresentanza da due tavoli, in cui si discute di un possibile accordo per una equa tassazione delle multinazionali, uno messo in piedi dall’ occidente “Accordo sulla tassazione minima globale”, l’altro, presso l’ONU su iniziativa dei paesi del terzo mondo “Convenzione quadro alternativa sulla tassazione globale”, avvertendo che “chiunque amici o nemici applicherà tasse sulle attività delle aziende statunitensi sarà soggetto di dazi anche del 100%”. Gli economisti hanno ripetutamente avvertito che le misure messe in atto o minacciato da Trump anziché portare “all’età dell’oro” potrebbero portare nel medio/lungo termine ad un peggioramento della situazione economica. Per Larry Summers “questo che sta facendo Trump è ciò che gli economisti chiamano uno shock di fornitura autoinflitto, significa meno fornitura perché stiamo tassando i fornitori esteri, e ciò significherà prezzi più alti e quantità inferiori di prodotti disponibili”. Da tutta questa baraonda di fiches buttate all’aria traggo due riflessioni: perché i dazi sono tanto popolari rispetto al libero scambio? e l’obiettivo ultimo di Trump è la protezione dell’economia e della bilancia commerciale degli Stati Uniti o di un riequilibrio geopolitico del commercio mondiale più favorevole agli Statti Uniti a spese di tutti le altre economie?
Non è necessario essere dei premi Nobel per capire dai giornali americani cosa stesse succedendo in campagna elettorale dove Trump ha fatto emergere istanze che hanno poco a che fare con le leggi economiche e molto con la pancia della politica. Tanto per sgomberare il campo da equivoci la premessa è che i dazi vengono pagati al 70% dai cittadini di chi li emette. Trump è riuscito a concentrare l’attenzione degli elettori sui generici fattori positivi di “difendere con i dazi i posti di lavoro ben retribuiti e di produrne altri, molti altri” glissando completamente sul conseguente rincaro dei beni e un’ulteriore aumento dell’inflazione che come hanno calcolato al Peterson Institute costerebbe 1.200 $ l’anno per famiglia. Provo a semplificare la questione con esempi semplici e chiari di come i dazi interagiscono fra creazione/distruzione di posti di lavoro e costo finale dei beni. Su Politico.com l’economista J. Stiglitz, Nobel per l’economia, scrive ” ogni famiglia americana paga di più per lo zucchero a causa dei dazi sul prodotto importato. Sommate tutto e si arriva ad una montagna di soldi. Ma nessun singolo acquirente di zucchero sarà spinto ad agire politicamente per eliminare i dazi e risparmiare qualche decina di dollari all’anno. Riportando tutto questo all’industria statunitense dello zucchero , i dazi sono l’unica variante che si frappone tra la sopravvivenza delle sue aziende e l’estinzione e tra i suoi lavoratori e la disoccupazione, per loro vale la pena di condizionare la politica per preservare i dazi” . Un altro esempio molto più grosso vale per l’acciaio. Se gli Usa tagliassero o eliminassero le tariffe sull’acciaio l’arrivo di più acciaio straniero, meno costoso, danneggerebbe le aziende siderurgiche nazionali, che peraltro sono già in pessime condizioni, e costerebbe il lavoro ai lavoratori siderurgici americani che sono al massimo 100.000 e che si considereranno giustamente vittime del libero scambio. Questo è un interesse politico ben preciso e individuato che chiede protezione, mentre nell’altra faccia dell’economia vi sono le case automobilistiche e i loro dipendenti, milioni di acquirenti delle auto, decine di milioni di operatori e lavoratori che operano nell’edilizia, che saranno tutti poco o molto danneggiati dai dazi ma che non producono lo stesso effetto mediatico e politico. Se ne deduce che “il libero scambio” serve l’interesse pubblico generale, ma ci sono e ci saranno sempre aziende e lavoratori che verranno danneggiati dal “libero scambio” e chiederanno a gran voce protezione politica attraverso i dazi. Un sondaggio Bloomberg del 2024 ha chiesto agli americani se avrebbero pagato un po’ di più per i prodotti a livello nazionale, anche senza una menzione diretta del salvataggio dei posti di lavoro, i risultati sono stati inequivocabili: l’82 percento degli intervistati ha affermato di essere disposto a pagare un po’ di più; solo il 13 percento voleva i prezzi più bassi. Il libero scambio produce per ogni individuo guadagni diffusi ma piccoli rendendoli quasi irrilevanti alla maggior parte delle persone che ne usufruiscono mentre le perdite, al contrario, sono concentrate, sono altamente visibili e colpiscono gruppi ben definiti. Per Douglas A. Irwin ”L’imposizione di tariffe sulle importazioni dal Canada e dal Messico costituirebbe un evento storico negli annali della politica commerciale degli Stati Uniti ed equivarrebbe a uno dei maggiori aumenti delle tasse commerciali all’interno degli Stati Uniti”. Come ha scritto Alan Blinder su Foreign Affairs “e’ probabile che gli economisti abbiano abbaiato all’albero sbagliato “dell’interesse dei consumatori”, risulta evidente che l’obiettivo prioritario del consumatore attuale è la “creazione di posti di lavoro ben retribuiti”, non la produzione di beni a basso costo. Pur tuttavia essendo l’economia una scienza quasi certa quasi e’ sicuro che il sistema economico americano perderà tutti i giorni una piccola quantità di ricchezza diffusa su centinaia di milioni di persone che non se ne accorgeranno (come per lo zucchero o l’acciaio) ma si tratterà di montagne di denaro molto più alte delle Trump Tower”.Tutti questi professori e premi nobel ragionano da economisti ortodossi Trump ragiona da politico, da capo popolo di una nazione imperialista in piena fase di declino che ha deciso di scatenare una guerra planetaria, per il momento solo economica, per vincerla e ottenere dei vantaggi che vanno al di la delle leggi economiche. Ha preso la bandiera di tutti i “mercantilismi”, presenti nella società e nell’economia americana, li ha rinforzati di “nazionalismo” e di “imperialismo” confezionando un pacchetto che vuole utilizzare come arma impropria per la sua guerra di conquista. Trampone sta barando utilizzando i dazi commerciali, quelli sullo zucchero o sull’acciaio, per scopi politici o peggio ancora geopolitici. Quello che ha fatto fino ad ora non hanno nulla a che far con l’età dell’oro per gli americani. Le minacce alla Colombia, a Panama, al Canada o quelle ai Brics, India, Cina, Brasile, Arabia Saudita, Sud Africa più altre 24 nazioni, di dazi al 100% se provano a realizzare un sistema di compensazione monetaria dei pagamenti diverso da quello attuale “SWIFT” che è in dollari ed è in mano agli Usa che lo utilizzano come arma impropria verso tutte le nazioni del mondo e che gli procura un vantaggio competitivo valutato in 200 mld. di $ all’anno, non produrranno alcun posto di lavoro “ben retribuito”. Sta scatenando una guerra imperialista di conquista facendola passare per riequilibrio commerciale. In un articolo di Kennet Rogoff su Project Syndacate scrive “ Trump nel migliore dei casi prova a ricattare tutti con l’obiettivo geopolitico di cambiare i flussi commerciali per riequilibrare gli equilibri geopolitici a livello mondiale senza dover pagare nulla. Ma ha solo la pistola da mettere sul tavolo in quanto gli Stati Uniti non hanno nulla da scambiare se non petrolio, gas e armi, anche perché il commercio è un fatto essenzialmente fra privati. Xi Jimping non può impegnarsi ad acquistare soia dagli Usa ad un prezzo più alto di quanto le aziende cinesi lo pagano dal Brasile”. Tuttavia devo ammettere con grande soddisfazione che da queste prime settimane di governo Trump è riuscito a ottenere una serie di risultati certi: ha coperto di ridicolo la presidenza imperiale, si è creato solo o nemici o al meglio partner ma soprattutto si è fumato gli ultimi scampoli di reputazione ridotti già al minimo dopo la protezione dello sterminio di Gaza. Come si legge sul Financial Times “ Per capire Trump e la sua banda di balordi vendicativi bisognerà tornare a studiare l’imperatore Caligola che fece senatore il suo cavallo”. Aggiungo che a pagare sarà l’intero popolo americano così come per lo sterminio di Gaza pagherà l’intero popolo israeliano.
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