09 Giugno 2025
Ieri l’Italia dell’idrolitina, oggi l’Italia della ninidrina: la criminalistica nazionalpopolare
Resta la speranza che l’italiano medio possa ritornare ad essere quello misurato e saggio dei tempi dell’idrolitina. Lasciando la ninidrina a persone del mestiere.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Anche lei ha avuto i suoi cinque minuti di, anche pericolosa, notorietà. Dai laboratori di criminalistica direttamente in prima serata. Lei, la ninidrina.
Un nome che porta alla mente, per assonanza, l’idrolitina del Cavalier Gazzoni.
L’idrolitina, che rende l’acqua frizzante, è stata il simbolo di un’Italia, quella tra gli anni 50 e anni 70, che pur con prudenza e parsimonia voleva evolvere verso il benessere. Che guardava Carosello per coltivare oggi sogni da realizzare domani.
La ninidrina non rende l’acqua frizzante. Anzi è tossica e può portare a problemi respiratori.
L’uso più conosciuto della ninidrina è in campo forense. Per esaltare impronte digitali su superfici porose. Come carta e cartone.
I suoi cinque minuti di notorietà la ninidrina li ha avuti “grazie” alla vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi. Sulla scena del crimine era stata usata per esaltare impronte presenti sul muro.
Tanto l’interesse per la ninidrina che la trasmissione “Chi l’ha visto?” ha ritenuto di illustrane il funzionamento con esperimento in diretta.
La ninidrina dopo i primi minuti di smarrimento davanti alle telecamere si è ricordata di essere una sostanza nociva per inalazione ed è diventata dispettosa.
A parte il piccolo incidente, ciò che è significativo è l’aspetto simbolico.
Negli ultimi quindici anni la cronaca nera è diventata un fenomeno di massa. Non si tratta più di dividersi tra colpevolisti e innocentisti come ai tempi del delitto Fenaroli.
Se ai tempi dell’idrolitina l’italiano medio si sostituiva ad allenatori di calcio. Senza entrare in campi che necessitavano di elevata professionalità. Oggi, ai tempi della ninidrina, l’italiano vuole essere medico, virologo, esperto di strategia militare.
Nel campo della cronaca nera vuole essere magistrato, criminalista, criminologo, psichiatra. All’inizio voleva solo parteggiare per la vittima o a volte per l’imputato.
Ora vuole sindacare su ogni aspetto delle indagini e del processo.
I mezzi d’informazione lo assecondano. Con dettagliate spiegazioni delle varie tecniche d’indagine. Anche troppo dettagliate.
Serve veramente allo spettatore medio sapere come funziona il Dna o la ninidrina?
Poco o nulla. Conoscere le dinamiche dell’omicidio è utile perché un pubblico informato e partecipe può dare un contributo. Del resto era lo scopo di trasmissioni come “Telefono giallo” e “Blu Notte”.
Entrare invece in tematiche che richiedono elevata professionalità può essere addirittura dannoso.
Più che spiegare come vengono fatte le indagini sarebbe utile illustrare come si svolge un processo.
Le garanzie costituzionali recepite, non sempre e non sempre bene, dal nostro codice di procedura penale.
In tantissimi non conoscono o non accettano il principio di presunzione di non colpevolezza.
Sconoscono il concetto di ragionevole dubbio.
Peggio ancora ha perso significato il concetto di contradditorio.
Il cittadino medio non segue i processi. Non legge i documenti processuali.
Si informa guardando trasmissioni televisive o dirette sui social. Che non applicano quasi mai il contradditorio.
Così l’informazione è parziale come il giudizio che ne consegue.
Con il rischio di rendere inutile una sentenza definitiva di assoluzione.
Come può vivere tranquillamente una persona assolta ma circondata da persone che nel tribunale mediatico hanno emesso sentenza di condanna?
Resta la speranza che l’italiano medio possa ritornare ad essere quello misurato e saggio dei tempi dell’idrolitina. Lasciando la ninidrina a persone del mestiere.
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