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02 Giugno 2025

Vittoria chavista in Venezuela: resistenza popolare, egemonia elettorale e le sfide della democrazia sotto assedio

Le elezioni del 2025 in Venezuela non possono essere analizzate con la lente semplicistica della “frode” o dell’“autocrazia”, come insiste la narrazione dominante nei mezzi di comunicazione occidentali.

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resistenza bolivariana, nel centro di Caracas (Foto: Federico PARRA / AFP).

Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

Introduzione

Domenica scorsa (25), il Venezuela ha vissuto un altro capitolo della sua complessa storia politica con lo svolgimento delle elezioni per l’Assemblea Nazionale e i governi statali. Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) e la sua coalizione hanno ottenuto una vittoria schiacciante: hanno conquistato l’82% dei seggi in Parlamento e 23 dei 24 governi statali. Più che una vittoria elettorale, si tratta di una dimostrazione della forza di un progetto politico che resiste da oltre due decenni al blocco economico, ai tentativi di colpo di Stato e al sabotaggio internazionale.

Ma, come ogni lettura impegnata per l’emancipazione popolare deve riconoscere, il contesto è di tensioni e contraddizioni: la partecipazione popolare è stata segnata da un’astensione elevata, alimentata dalle campagne di boicottaggio dell’estrema destra e dalla disillusione di settori sociali di fronte alle difficoltà economiche e politiche del Paese.

1. La vittoria schiacciante del chavismo: espressione di resistenza ed egemonia territoriale

Con il 93% delle urne scrutinate, la coalizione guidata dal PSUV ha raggiunto l’82% dei seggi dell’Assemblea Nazionale, consolidando una maggioranza che permetterà al governo di Nicolás Maduro di avanzare nei suoi progetti politici, in particolare la prevista riforma costituzionale, che si prevede sarà discussa nel 2026.

Sul piano statale, l’egemonia chavista è stata ancora più espressiva: 23 dei 24 stati hanno eletto governatori della base governativa. Tra le vittorie emblematiche spicca Barinas, culla politica dell’ex presidente Hugo Chávez, dove Adán Chávez, suo fratello, ha riconquistato lo stato per la sinistra. A Zulia, tradizionale roccaforte dell’opposizione, la sinistra è riuscita anch’essa in un sorprendente ribaltamento.

Si tratta di un trionfo elettorale che, oltre le urne, riafferma la capillarità territoriale e la capacità di mobilitazione popolare del chavismo, anche in un contesto di profonda crisi economica. Come affermava Marta Harnecker:

“Ciò che distingue il processo bolivariano da altri processi progressisti è la sua enfasi sulla partecipazione popolare come elemento fondamentale della democrazia. Non si tratta solo di migliorare le condizioni di vita, ma di creare soggetti politici consapevoli.”

2. L’astensione: sintomo delle ferite aperte dalla crisi e dalla guerra ibrida

Nonostante la vittoria, il governo bolivariano ha affrontato una sfida che non può essere trascurata: l’alto tasso di astensione, che ha raggiunto il 57,63%. L’opposizione di estrema destra, guidata da María Corina Machado, ha scommesso nuovamente sulla tattica del boicottaggio, ripetendo lo schema delle elezioni del 2021, quando la partecipazione fu anch’essa bassa.

Questo boicottaggio — amplificato dalla stampa corporativa internazionale, che insiste nel delegittimare il processo elettorale venezuelano — fa parte di una strategia di destabilizzazione politica, tipica della guerra ibrida, che mira a indebolire il chavismo attraverso la demoralizzazione simbolica e l’isolamento internazionale.

Tuttavia, come avvertiva Marta Harnecker:

“Il blocco e le aggressioni imperialiste non cercano solo di soffocare economicamente il Venezuela, ma di spezzare la fiducia del popolo nel proprio progetto politico, minare la sua speranza e la sua capacità di resistere.”

Oltre alle pressioni esterne, la bassa partecipazione riflette anche questioni interne: il logoramento provocato dalla crisi economica, l’iperinflazione, la scarsità e la difficoltà dello Stato nel garantire i diritti sociali in mezzo al blocco criminale imposto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

3. L’Essequibo: tra l’affermazione territoriale e la diplomazia di confronto

Uno degli elementi più singolari di questo processo elettorale è stata l’inclusione dell’Essequibo, territorio storicamente conteso tra il Venezuela e la Guyana. Per la prima volta, sono stati eletti deputati e un governatore per la regione, sebbene l’elezione si sia svolta in modo simbolico, al di fuori del territorio conteso.

La vittoria del candidato governativo Neil Villamizar in questa elezione evidenzia la scommessa del governo Maduro nel rafforzare la narrativa sovranista e nel consolidare il sostegno popolare attorno alla questione territoriale. Tuttavia, resta aperta la domanda: il governo intende davvero occupare militarmente l’Essequibo, o manterrà la disputa sul piano diplomatico?

4. La frammentazione della destra e il fallimento del boicottaggio come strategia politica

L’opposizione venezuelana, frammentata e priva di un progetto nazionale alternativo, ha nuovamente optato in gran parte per il boicottaggio, guidata da María Corina Machado. La sua scommessa è stata quella di delegittimare il voto, ribadendo l’accusa — finora senza prove — che Maduro abbia truccato le elezioni presidenziali del 2024.

Tuttavia, un’ala minoritaria della destra, rappresentata da Henrique Capriles, ha rotto con la politica astensionista, sostenendo la partecipazione alle elezioni come via per sconfiggere il chavismo attraverso il voto. Capriles è riuscito ad essere eletto deputato per Miranda, ma la sua influenza è sempre più marginale rispetto al radicalismo antidemocratico dell’estrema destra.

La sconfitta fragorosa dell’opposizione in 23 dei 24 stati evidenzia l’inefficacia della strategia del boicottaggio e pone una sfida alla destra venezuelana: ricostruire un campo politico capace di dialogare con le domande popolari e presentare reali alternative.

Come avverte Michael Löwy:

“Nessun processo rivoluzionario è esente da contraddizioni: il chavismo affronta limiti, burocratizzazioni, dilemmi democratici. Ma è un errore gravissimo scartarlo o ridurlo a una caricatura di ‘dittatura’, come fa la stampa capitalista.”

5. La Rivoluzione Bolivariana: tra la vittoria e le sfide di un nuovo ciclo

Nel suo discorso dopo i risultati, Nicolás Maduro ha celebrato la vittoria come prova della vitalità della Rivoluzione Bolivariana dopo 26 anni di esistenza e più di tre decenni di aggressioni esterne, blocchi e tentativi golpisti.

Il suo discorso, ricco di riferimenti alla resistenza, alla pace e alla democrazia popolare, risuona come il sentimento di un progetto che, sebbene assediato e sotto pressione, continua ad avere un significativo sostegno popolare. Come ha affermato Jorge Rodríguez, coordinatore della campagna, la “territorializzazione” delle azioni del chavismo — andando quartiere per quartiere, casa per casa — è stata fondamentale per questa vittoria.

La vittoria chavista riafferma ciò che Marta Harnecker ha sempre sottolineato:

“La Rivoluzione Bolivariana è stata la prima, dopo la fine dell’Unione Sovietica, a sollevare la bandiera del socialismo come progetto emancipatorio, ma a partire da una lettura radicata nella realtà concreta latinoamericana, combinando sovranità nazionale con protagonismo popolare.”

Tuttavia, la permanenza del chavismo al potere, e la sua capacità di approfondire la rivoluzione, dipenderanno dalla sua abilità di affrontare tre sfide centrali:

  1. Recuperare l’economia, affrontando gli effetti devastanti del blocco e cercando alternative di sviluppo sovrano.
  2. Ritrovare il legame con i settori popolari demobilitati, che hanno espresso il loro disincanto attraverso l’astensione.
  3. Aprire spazi di partecipazione e critica, affinché la Rivoluzione Bolivariana non si cristallizzi come un progetto autoreferenziale, ma si rinnovi come un processo effettivamente democratico ed emancipatorio.

Come ricorda Michael Löwy:

“Il chavismo rappresenta una delle più importanti esperienze anti-imperialiste del nostro tempo, affrontando il potere degli Stati Uniti e dei suoi alleati, e cercando di costruire un’alternativa socialista radicata nella democrazia popolare.”

Conclusione: la vittoria popolare sotto l’assedio imperialista

Le elezioni del 2025 in Venezuela non possono essere analizzate con la lente semplicistica della “frode” o dell’“autocrazia”, come insiste la narrazione dominante nei mezzi di comunicazione occidentali. Sono piuttosto un episodio di resistenza politica, di affermazione sovrana e di dimostrazione che, anche sotto blocco, esiste spazio affinché il popolo si mobiliti e scelga i propri rappresentanti.

Ma non si possono nemmeno ignorare i limiti e le contraddizioni di questo processo: l’elevata astensione segnala una società in tensione, in disputa, segnata da disuguaglianze e incertezze.

Come ben sottolineano intellettuali come Marta Harnecker e Michael Löwy, il chavismo non è solo una struttura di potere, ma un progetto politico radicato nella lotta popolare, nella sovranità nazionale e nella costruzione di alternative socialiste. La sua vittoria alle urne è una vittoria contro il blocco, contro la guerra ibrida e, soprattutto, contro il fatalismo neoliberale che insiste nel decretare la fine della storia e dell’utopia.