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01 Settembre 2025

La Flottiglia della Libertà: la società civile contro il genocidio a Gaza

Non possiamo assistere passivamente a un genocidio trasmesso in diretta. La storia giudicherà tutti noi. Se gli Stati falliscono, l’umanità non può fallire.

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Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

La memoria delle flottiglie

Dal 2010, quando la prima Flottiglia della Libertà tentò di rompere il blocco imposto da Israele contro Gaza e fu brutalmente attaccata in mare, l’iniziativa è diventata uno dei simboli più forti di resistenza civile del nostro tempo. Si tratta di una coalizione internazionale di organizzazioni e attivisti che si pongono di fronte alla potenza militare israeliana, armati soltanto di barche cariche di cibo, medicine e speranza.

Gli obiettivi sono chiari: denunciare il blocco illegale, esporre i crimini di guerra e tentare — anche solo simbolicamente — di portare vita dove resta solo morte. Negli anni, decine di imbarcazioni sono state intercettate, attivisti arrestati, minacciati, deportati. Ma ad ogni attacco, ad ogni prigionia, la solidarietà cresce.

La più grande flottiglia di tutti i tempi

Ora, nel 2025, sta per partire la missione più grande mai organizzata. Saranno barche provenienti da 44 paesi.

  • La prima nave salperà da Barcellona il 31 agosto.
  • Altre partiranno il 4 settembre da Tunisi, in Tunisia, oltre a porti ancora non divulgati.
  • L’arrivo a Gaza è previsto per il 13 settembre.

Partecipano nomi di peso, come l’attivista climatica Greta Thunberg, l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau, eurodeputati, oltre a tra gli 8 e i 15 brasiliani. Tra loro c’è Thiago Ávila, militante sociale che, nell’ultima flottiglia catturata da Israele, fu arrestato e messo in isolamento soltanto per aver tentato di portare cibo al popolo palestinese. Oggi ritorna, riaffermando che la solidarietà è più forte della paura.

Gaza: genocidio trasmesso in diretta

Il contesto non potrebbe essere più brutale. Dal marzo 2025, Israele ha imposto un blocco totale: alimenti, medicine, carburante ed energia sono stati tagliati. Secondo le autorità locali, quasi 63 mila palestinesi sono stati uccisi tra bombardamenti e fame. Il numero di giornalisti assassinati è il più alto di qualsiasi guerra recente. Si tratta di un genocidio televisivo, seguito in tempo reale da tutto il mondo.

E, tuttavia, nulla accade. L’orrore è davanti agli occhi di tutti — donne, bambini, anziani sterminati dalla fame e dalla violenza — e le istituzioni internazionali si mostrano incapaci di agire.

Il fallimento delle istituzioni internazionali

L’ONU, che un tempo fu capace di agire contro l’apartheid sudafricano, oggi sembra ridotta a discorsi e risoluzioni che Israele e gli Stati Uniti semplicemente ignorano. Non ci sono sanzioni, non c’è isolamento politico, non c’è responsabilizzazione. Il Consiglio di Sicurezza è diventato un teatro di cinismo, dove il veto statunitense protegge Tel Aviv da qualsiasi condanna reale.

È la prova vivente del fallimento delle istituzioni internazionali di fronte ai genocidi moderni: tanto rumore diplomatico, nessuna azione cocreta.

Le piazze del mondo e la necessità di una rottura

Mentre i governi si limitano a denunciare, la società reagisce. Migliaia scendono in piazza nelle capitali di tutto il pianeta, denunciando il genocidio palestinese. Ma la storia ci insegna che non basta protestare: fu necessario rompere economicamente e politicamente con il Sudafrica perché l’apartheid cadesse. È di questo che si tratta ora: i governi devono rompere con Israele, sospendere le relazioni diplomatiche e commerciali, imporre sanzioni reali.

Come ha detto un’attivista a Barcellona:

“Se i nostri governi non agiscono, dobbiamo farlo noi — popolo contro impero, solidarietà contro genocidio.”

Testimonianze della resistenza

Oltre ai numeri e alle analisi, la forza della flottiglia sta nelle voci che la compongono:

  • Thiago Ávila (Brasile):

“L’ultima volta Israele mi ha arrestato e mi ha messo in isolamento. Oggi torno perché nulla è più urgente che impedire che un intero popolo venga ucciso di fame davanti agli occhi del mondo.”

  • Greta Thunberg (Svezia):

“La crisi climatica e la guerra a Gaza hanno la stessa radice: un sistema che mette il profitto e il potere sopra la vita. Rompere il blocco è anche lottare per il diritto di esistere.”

  • Ada Colau (Spagna):

“Barcellona è sempre stata una città di solidarietà. Partendo da qui, portiamo un messaggio chiaro: i popoli non accettano di essere complici del genocidio.”

La fame come arma di guerra

Nulla rivela più crudeltà che trasformare la fame in un’arma. Il blocco israeliano non è solo militare: è economico, psicologico, culturale. È una politica di annientamento pianificato, che non colpisce i combattenti, ma le famiglie intere. È una guerra contro la vita.

Ogni bambino morto di denutrizione, ogni ospedale chiuso per mancanza di medicine, ogni giornalista silenziato, mostra che non si tratta di “conflitto”: è genocidio.

La società civile come ultima frontiera

Quando i governi si omettono, è la società civile a occupare lo spazio della dignità. La Flottiglia della Libertà è, prima di tutto, un atto di umanità radicale: un pugno di barche contro l’esercito più potente del Medio Oriente.

Nessuno si illude che sarà facile. Israele ha già chiarito che non permetterà l’arrivo delle imbarcazioni. Ma, come hanno detto gli organizzatori, l’obiettivo va oltre la consegna degli aiuti:

“Vogliamo che il mondo guardi. Che nessuno possa dire di non sapere.”

Appello: ognuno può fare qualcosa

Questo articolo non serve solo a informare. È un appello. Ognuno di noi può fare qualcosa — nelle piazze, nelle reti, nelle università. Possiamo fare pressione sui governi, sui sindacati, sulle comunità. Possiamo amplificare le voci che i potenti cercano di silenziare.

Non possiamo assistere passivamente a un genocidio trasmesso in diretta. La storia giudicherà tutti noi. Se gli Stati falliscono, l’umanità non può fallire.