24 Febbraio 2025
Dobbiamo imparare a fare la pace prima della guerra
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Di Rosamaria Fumarola
La pace. Non si fa che parlare di pace, ma soprattutto in tanti vogliono appuntarsi sul petto la spilla di pacificatori. Un tipo protagonismo questo che ha sempre caratterizzato gli uomini di potere e che non è mai cambiato nel tempo. Augusto ad esempio, nel 9 a.C. dedicò a Roma per tramite del Senato un altare alla pace, l’Ara Pacis, le cui decorazioni sono propaganda pura da un lato della gens a cui Augusto apparteneva e dall’ altro una narrazione del tempo nuovo, della età dell’ oro che avrebbe caratterizzato l’età di Augusto. Un politico che si propose come portatore di pace dopo tempi nei quali a regnare era stata la guerra, alla quale aveva dato il suo poderoso contributo di massacri e distruzioni. Sgominati i suoi avversari, con i quali non aveva evidentemente agito da uomo di pace, incominciò a governare di fatto da solo, tenendo ben saldo tutto il potere nelle sue mani. Chiamare questo spodestare tutti i propri avversari vincendo una guerra “pace” mi è sempre sembrata una nota stonata, forse perché ho un’ idea sbagliata di cosa sia la pace o semplicemente perché in tempi differenti non è improbabile che anche le parole assumano un significato diverso. Sta di fatto che il medesimo straniamento lo vivo oggi ascoltando le parole di tutti coloro che parlano di pace ed assicurano di essere capaci di garantirla ai popoli. Sono coloro che si propongono come gli uomini della Provvidenza, pescando da un repertorio propagandistico arcinoto, dal quale dovremmo sapere cosa aspettarci. Non è poi un caso che i modelli di riferimento per questo tipo di governanti siano sempre quelli attinti dalla storia dell’ impero romano. Donald Trump ad esempio, come tutti gli accentratori che lo hanno preceduto, non è interessato a favorire una pace che giovi finalmente a chi sia vittima del conflitto, ma si adopera per garantire a sé stesso il maggior vantaggio possibile. E nel farlo stigmatizza tutta l’incapacità di chi è riuscito a foraggiare le assurde e miopi ambizioni di vittoria dell’ Ucraina, che evidentemente mai avrebbe potuto vincere una guerra contro la Russia di Putin. L’Europa ha rivelato la sua perfetta inutilità, anzi il suo procurare solo un danno maggiore a chi già stava subendo una ingiusta invasione. Trump lo sta sottolineando e trovo l’analisi rispondente a vero. È però inaccettabile che Zelensky debba risarcire gli USA per quanto ricevuto dall’ amministrazione precedente, che legittimamente aveva deciso di sostenere l’Ucraina. È probabile che si tratti di una delle tante provocazioni che Trump fa per compiacere quanti ne hanno assicurato la vittoria, quegli americani che dal tycoon si aspettano un risarcimento per ciò che ritengono di aver perduto e che auspicano un ritorno ad una supremazia americana che li faccia sentire ancora i padroni del mondo. Va dato atto al nuovo inquilino della Casa Bianca di essersi subito adoperato per cercare un dialogo con i responsabili del conflitto, con i quali l’Europa si rifiutava invece di interloquire, favorendo il rischio di un pericoloso allargamento della guerra. Resta tuttavia da chiedersi quando questo concetto di pace che non è valore perseguito concretamente e costantemente, ma solo imposizione di un nuovo regime dopo una guerra, sarà in grado di intercettare le vite di vittime innocenti delle ambizioni bellicistiche di pochi. Quando cioè la pace sarà un bene per tutti, soprattutto per coloro che non conoscono colpe e vedono rase al suolo le città in cui chiedono di vivere, per bambini che avrebbero bisogno di cure ed amore e che da innocenti sono sacrificati perché è facile esprimere il peggio su chi non può difendersi. Invertire la rotta, partire dalla tutela di chi senz’ altro sarebbe solo vittima di eventuali conflitti è l’ unica prospettiva accettabile per paesi che dalla storia avrebbero dovuto imparare, se non fosse che qualcuno ha prima e meglio di me sottolineato come la storia insegni senza tuttavia avere avuto mai allievi.
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