Mettiti in comunicazione con noi

13 Gennaio 2025

Critica alla Dominazione, al Neocolonialismo, al Patriarcato e all’Imperialismo

Dussel sfida l’ontologia fallica che sottende molte tradizioni morali e religiose, denunciando le sue soluzioni repressive e alienanti.

Pubblicato

su

Di Maddalena Celano

Enrique Dussel, filosofo argentino e uno dei principali esponenti della Filosofia della Liberazione, ha espresso posizioni favorevoli al Sandinismo, il movimento rivoluzionario nicaraguense che rovesciò il dittatore Anastasio Somoza nel 1979. Il suo sostegno al Sandinismo si inserisce in un contesto di critica all’imperialismo e al neocolonialismo, temi centrali nella sua filosofia.

Dussel ha sostenuto il Sandinismo come una forma di liberazione che cercava di superare le disuguaglianze economiche, politiche e sociali attraverso un processo di autodefinizione e resistenza all’intervento esterno, in particolare quello statunitense, che spesso ha sostenuto dittature e regimi autoritari in America Latina. Secondo Dussel, il Sandinismo rappresentava un passo verso una liberazione autentica, una lotta per la sovranità nazionale e per l’emancipazione dei popoli oppressi.

Alcuni punti chiave della sua riflessione favorevole al Sandinismo includono:

Rifiuto dell’Imperialismo: Dussel ha sempre criticato l’ingerenza degli Stati Uniti e degli altri poteri imperialisti nei confronti dei popoli latinoamericani. Il Sandinismo, come movimento anti-imperialista, cercava di liberarsi dall’influenza degli Stati Uniti e di costruire un’alternativa autonoma basata sull’autosufficienza e sull’indipendenza.

Rivoluzione Popolare e Giustizia Sociale: Dussel ha appoggiato la lotta del Sandinismo per la giustizia sociale, un obiettivo fondamentale della rivoluzione nicaraguense. Il movimento, infatti, cercava di migliorare le condizioni di vita dei più poveri, in particolare dei contadini e dei lavoratori, attraverso riforme agrarie, istruzione gratuita e una riforma sanitaria.

Sovranità Nazionale: Il Sandinismo si è distinto anche per il suo impegno a difendere la sovranità del Nicaragua, un concetto centrale per Dussel nella lotta contro il neocolonialismo. Secondo lui, la liberazione politica ed economica dei popoli latinoamericani non sarebbe stata possibile senza il recupero della loro sovranità nazionale, e il Sandinismo ne era un esempio concreto.

Solidarietà Internazionale: Dussel ha anche sottolineato l’importanza della solidarietà tra i popoli oppressi. Il sostegno al Sandinismo non era solo un impegno nazionale, ma faceva parte di una lotta continentale contro l’imperialismo e il colonialismo, sostenendo i movimenti di liberazione in altre parti del mondo, in particolare in Africa e Asia.

Un Nuovo Progetto di Società: Dussel ha visto nel Sandinismo una proposta di costruzione di una nuova società, che avrebbe dovuto andare oltre le strutture politiche ed economiche tradizionali imposte dall’élite dominante. Era un progetto di liberazione che includeva anche una liberazione culturale, dove i valori e le tradizioni locali avrebbero avuto un ruolo centrale nel processo di rinnovamento della società.

Dussel ha visto nel Sandinismo non solo una resistenza contro l’oppressione imperialista, ma anche un tentativo di costruire una società più giusta, dove i principi di uguaglianza, solidarietà e sovranità fossero realizzati in modo concreto. Questo movimento, secondo lui, incarnava una delle espressioni più autentiche della lotta per la liberazione in America Latina.

Le riflessioni di Enrique Dussel sul tema dell’alienazione internazionale delle formazioni sociali delle nazioni dipendenti offrono un quadro filosofico e politico di grande profondità, radicato nella critica del sistema imperialista globale e nell’analisi della relazione tra centro e periferia. Il linguaggio di Dussel tradisce un’intenzione esplicita: smascherare le fondamenta ontologiche, economiche, militari e culturali di una struttura di dominio che, pur travestita da umanismo, perpetua disuguaglianze profonde e sfruttamento sistematico.

In particolare, l’idea che l’ontologia euro-nordamericana costituisca il substrato filosofico dell’imperialismo è un’intuizione dirompente, che chiama in causa la stessa tradizione filosofica occidentale. Qui, Dussel non solo denuncia l’eurocentrismo, ma suggerisce che il pensiero occidentale, anche nelle sue forme più elevate, come quelle di Aristotele o Hegel, abbia contribuito a giustificare uno status quo di oppressione, definendo il “mondo” come il centro e relegando la periferia a una condizione di marginalità ontologica e morale.

La descrizione del neomalthusianesimo come strumento per contenere l'”avanzata” della periferia rivela la paura intrinseca che il centro nutre nei confronti delle masse subalterne: un timore che non è solo demografico, ma profondamente politico e culturale. L’“altro” non è solo sfruttato, ma anche totalizzato, privato della propria unicità, ridotto a un nemico omogeneo contro cui difendersi. Questa dinamica è espressione di un capitalismo che, secondo Dussel, è in fase di “facistizzazione”, ossia sempre più orientato verso la soppressione sistematica delle differenze e delle resistenze.

Infine, la critica ai mezzi di comunicazione come veicoli ideologici della dominazione culturale pone l’accento su un aspetto fondamentale del potere contemporaneo: la capacità di modellare non solo l’economia e la politica, ma anche l’immaginario collettivo. Il dominio culturale diventa così un’arma tanto potente quanto quelle militari, capace di perpetuare il controllo senza necessità di scontri aperti.

Il messaggio di Dussel non è solo analitico, ma profondamente etico. Ci invita a interrogare le basi filosofiche delle strutture di potere, a smascherare le ideologie che le sostengono e a immaginare un mondo in cui la periferia non sia più vittima dell’alienazione, ma protagonista della propria liberazione. L’umanesimo che Dussel reclama è un umanesimo autentico, capace di superare la falsa universalità del centro per abbracciare la pluralità e la dignità dell’intero genere umano.Dussel offre un’analisi lucida e spietata dell’ethos imperiale che sostiene le dinamiche di dominazione globale e locale, evidenziando come l’apparente razionalità burocratica e la presunta moralità dei dominatori siano, in realtà, strumenti sofisticati per perpetuare il controllo e l’oppressione. Il passo mette in luce l’ipocrisia di un sistema che giustifica, in nome di valori come la libertà, la democrazia e la cultura, pratiche di sfruttamento sistematico, violenza e sofferenza inflitte alle popolazioni periferiche.

Dussel osserva come «en la esencia del éthos de la dominación imperial se encuentra la certeza disciplinada del burócrata o el fanático […] que cumple diariamente con sus deberes patrios y religiosos con escrupulosa conciencia moral […] por medio del asesinato, el chantaje, la corrupción, la explotación, el hambre, el sufrimiento de la periferia» (Dussel, 2013, p. 94). Questa riflessione richiama alla mente le analisi di Hannah Arendt sul “male banale,” ovvero il carattere ordinario e sistematico delle azioni compiute da individui che, senza apparente malvagità personale, perpetuano strutture oppressive con una “coscienza tranquilla.”

L’accusa di Dussel non si limita al livello personale, ma si estende alle istituzioni e alle ideologie che, sotto una patina di universalità, celano una violenza strutturale profondamente radicata. L’ethos di dominazione descritto diventa il fondamento di una società “civilizzata” che non solo sfrutta, ma trasforma l’oppressione in un dovere morale, rendendo invisibili le sofferenze della periferia agli occhi del centro.

Inoltre, la critica alla polarizzazione centro-periferia è accompagnata da una riflessione sulla “alienazione delle classi” nei contesti nazionali, dove le disuguaglianze non si limitano alla relazione tra nazioni, ma si riproducono nelle dinamiche interne. Come Dussel spiega, la sovra-sfruttamento del proletariato e del campesinato periferico alimenta il sistema capitalistico globale, rafforzato da eserciti e polizie locali che agiscono come strumenti di repressione interna (Dussel, 2013, pp. 94-95).

La filosofia della liberazione proposta da Dussel sfida la retorica del progresso e della civiltà, denunciando il ruolo del pensiero dominante nella naturalizzazione della violenza e dello sfruttamento. Essa invita a una reinterpretazione radicale delle categorie filosofiche, economiche e sociali, capace di restituire dignità e agency alle classi oppresse, creando i presupposti per un mondo autenticamente plurale e giusto.

Dussel, in questo complesso passaggio, offre un’interpretazione incisiva e radicale della dinamica di liberazione dei popoli periferici, incastonandola nel quadro di un conflitto non solo politico, ma eminentemente culturale e ontologico. La liberazione, così come è concepita, non rappresenta un mero atto di emancipazione economica o politica, ma l’apertura verso una rivoluzione ontologica, capace di trasformare il paradigma del dominio e della dipendenza in una realtà autenticamente pluralista e autonoma.

L’autore sottolinea che «la liberación de la periferia, en los pueblos de la periferia, en sus clases obreras oprimidas o grupos campesinos […], se encuentra la posibilidad de la cultura mundial futura de efectuar un salto cualitativo, pasar a una densidad nueva, original» (Dussel, 2013, p. 96). Questa affermazione evidenzia una verità fondamentale: la liberazione della periferia non è un processo isolato, ma il presupposto di una trasformazione globale, in cui il centro stesso, per preservare la propria vitalità, deve trascendere il proprio carattere autoreferenziale. L’immagine evocativa del centro che “mangia i propri escrementi” è un richiamo simbolico potente alla stagnazione e al decadimento che derivano dal perpetuare un sistema basato sull’autosufficienza escludente e sullo sfruttamento dell’alterità.

Inoltre, l’autore critica aspramente le dinamiche di compromesso che portano le classi dominanti nazionali a coalizzarsi con l’imperialismo transnazionale, tradendo così le aspirazioni delle masse popolari. Questo tradimento rende impossibile una vera liberazione, trasformando i tentativi di emancipazione in meri aggiustamenti funzionali al mantenimento della struttura di dipendenza globale. Dussel avverte che «la filosofía política de nuestra época no puede ya dividir a los gobiernos como lo hizo Aristóteles […] siendo la “revolución” el mal político mismo: es decir, la antiliberación» (Dussel, 2013, p. 97). La filosofia politica contemporanea, quindi, non può rifugiarsi in categorie conservative, ma deve abbracciare il rischio della rivoluzione come forza creatrice di un nuovo ordine.

In questa visione, la filosofia della liberazione emerge come il tentativo di spezzare i vincoli non solo materiali, ma anche ideologici e culturali che perpetuano la subordinazione. La sfida non è soltanto di ordine pratico, ma implica una radicale rifondazione dell’immaginario globale, in cui i popoli oppressi diventano i protagonisti di una narrazione nuova e originale, capace di ridefinire il futuro dell’umanità.

Dussel descrive con acuta profondità il progetto di liberazione come una tensione ontologica, etica e politica che supera i limiti delle ideologie dominanti e sfida le strutture oppressive del sistema mondiale. Il “político liberador” è posto in contrasto con l’antieroe storico, rappresentante del potere opprimente e del dominio. La figura del liberatore emerge non solo come agente politico, ma come profeta e simbolo di una trasformazione radicale. È significativo che Dussel identifichi in figure come Bolívar, Castro, Mao o Lumumba non solo dei leader politici, ma veri e propri archetipi di una giustizia universale e di un’etica liberatoria.

L’affermazione secondo cui «el proyecto de liberación que porta un pueblo afirmativamente en su cultura como alteridad es el bien común futuro, la utopía, positiva, auténtica, humana, ética» (Dussel, 2013, p. 98) mette in evidenza l’idea della liberazione come forza creatrice e rigeneratrice. Il progetto utopico non è un sogno irrealizzabile, ma un richiamo etico alla possibilità di un mondo alternativo, fondato sulla dignità e sull’autodeterminazione. È in questa dialettica tra ciò che è e ciò che può essere che si manifesta la tensione fondamentale del pensiero di Dussel: la negazione della negazione implica non solo il superamento della dipendenza, ma la fondazione di una realtà nuova, profondamente eterogenea rispetto al sistema dominante.

La rappresentazione delle quattro fasi storiche di una formazione sociale – liberazione, organizzazione, stabilizzazione e declino – è particolarmente rilevante. Dussel sottolinea che la lotta iniziale, dominata dalla dimensione militare, non può esaurire il progetto liberatorio, ma deve cedere il passo alla prudenza politica, alla giustizia sociale e alla costruzione di nuove istituzioni. Tuttavia, il rischio della degenerazione è sempre presente: la fase imperiale rappresenta la cristallizzazione del potere e l’esaurirsi della spinta innovativa, conducendo a una repressione sistematica delle forze liberatrici.

Questa analisi ciclica si collega alla riflessione più ampia sull’etica della liberazione. L’atto stesso della lotta, come esemplificato dal grido di Lumumba «-¡Todo por la liberación del pueblo africano!» (Dussel, 2013, p. 99), assume una valenza etica e metafisica. La morte del liberatore non è una sconfitta, ma un seme piantato per il futuro, una promessa che si realizza nel sacrificio stesso.

In definitiva, Dussel ci invita a considerare la filosofia politica non come uno strumento di conservazione del potere, ma come un progetto rivoluzionario e utopico, capace di trascendere l’ideologia dominante e di affermare una nuova ontologia politica. La filosofia della liberazione diventa così una chiamata universale all’azione, un’etica della resistenza e della speranza.

Dussel intreccia magistralmente i temi della politica, della liberazione e dell’erotica, mostrando come ogni ambito della vita umana sia permeato da strutture etiche e metafisiche. L’estratto analizza il passaggio dalla lotta per la liberazione politica, con il suo ethos di coraggio, solidarietà e responsabilità, alla dimensione dell’erotismo come spazio di alterità e trascendenza.

Sul Progetto di Liberazione

Dussel enfatizza la “fortaleza” e la “valentía justa” come virtù centrali nell’etica della liberazione. In una lotta che spesso richiede il sacrificio ultimo, la generosità verso l’oppresso diventa “la sustancia del éthos liberador, el fuego, inapagable que fluye desde una generosidad sin límites.” Questo ethos si oppone all’oppressione del sistema dominante e orienta la storia verso una giustizia più profonda e umana.

Una citazione illuminante:

“La pulsión conmisericordiosa de alteridad por el pobre, el oprimido, el pueblo es la sustancia del éthos liberador.”

Qui emerge l’idea che l’impegno per la liberazione non è solo un atto politico, ma un’espressione radicale di responsabilità etica verso l’alterità, verso chi è ridotto all’invisibilità dal sistema.

Erotica e Alterità

Nel passaggio all’erotica, Dussel affronta il tema della relazione uomo-donna, criticando il maschilismo e il falocentrismo della tradizione filosofica occidentale. L’erotica, distinta dall’esperienza politica, è una metafisica della vicinanza e dell’alterità, dove il contatto sensibile con l’altro supera la semplice sessualizzazione.

Un momento cruciale è la critica a Descartes e alla tradizione dualista che ha svalutato il corpo e la sessualità:

“El ego del cogito es un ego fálico, masculino… Freud por cuanto su intención era operativa, terapéutica, no llegó a describir la sexualidad como lo hiciera, por ejemplo, Merleau Ponty.”

Dussel rifiuta la riduzione dell’altro a oggetto sessuale, sostenendo che la vera relazione erotica è quella in cui l’altro è riconosciuto come distinto, non come semplice diverso, ma come alterità irriducibile. La prossimità erotica non è soltanto fisica, ma metafisica, rappresentando una convergenza profonda nella differenza.

L’analisi di Dussel mette in luce la continuità tra etica politica ed erotica: entrambe si basano sul riconoscimento dell’altro come essere pienamente umano e irriducibile. La liberazione politica e la relazione erotica autentica sono parte di un medesimo movimento verso la giustizia, la trascendenza e la costruzione di una società più equa e umana.

L’intreccio tra ethos liberatorio e alterità erotica diventa quindi un richiamo non solo alla responsabilità individuale, ma alla trasformazione collettiva del mondo in una prospettiva radicalmente etica e ontologica.

L’analisi di Dussel sull’erotica, con il suo focus sull’alterità e sul riconoscimento dell’altro come soggetto pienamente umano, offre un potente quadro concettuale per affrontare il femminismo abolizionista, in particolare contro lo sfruttamento sessuale della donna nella prostituzione.

Critica femminista abolizionista

Dussel afferma:

“El otro, sexuado de tal manera que llama al yo al cumplimiento de la ausencia, nunca puede ser tomado como un mero objeto, cosa, de lo contrario al perder su alteridad pierde igualmente la capacidad de la plenitud del éros, la gratuidad, la entrega, la libertad y la justicia.”

In questo passaggio, l’autore sottolinea che la relazione erotica autentica è impossibile se l’altro è ridotto a oggetto. Questo è precisamente uno dei punti centrali delle critiche femministe abolizioniste alla prostituzione: quando il corpo della donna viene mercificato, l’alterità e la soggettività vengono cancellate, trasformando una potenziale relazione di mutuo riconoscimento in un rapporto di sfruttamento unidirezionale.

Nella prostituzione, l’“alteridad” del corpo femminile viene reificata come “oggetto di consumo”. La donna non è più un soggetto che si offre liberamente in un gesto di gratuità e giustizia, ma è ridotta a strumento per la soddisfazione unilaterale del desiderio maschile. Questo processo, anziché essere una manifestazione di éros autentico, diventa una negazione della libertà e della dignità umana.

Dussel afferma inoltre:

“La erótica, auténtica metafísica, se avanza en el ámbito de las sombras donde el otro habita.”

Questo rimando alla profondità metafisica della relazione erotica contrasta radicalmente con le dinamiche del mercato sessuale, dove il contatto fisico è spogliato della sua dimensione etica e ridotto a pura transazione economica. Laddove la prostituzione si configura come violazione dell’autonomia della donna, l’autentico éros di cui parla Dussel si fonda su un riconoscimento reciproco e volontario.

Critica al dualismo corpo-anima e implicazioni abolizioniste

La visione dualista di corpo e anima, spesso utilizzata per giustificare lo sfruttamento del corpo femminile separandolo dalla soggettività, è superata da Dussel:

“Si superamos el dualismo cuerpo-alma y afirmamos la unidad de la carne […] la erótica es cumplir con el deseo del otro como otro, como otra carne, como exterioridad.”

Per il femminismo abolizionista, questa unità della carne implica che l’uso del corpo della donna nella prostituzione non può essere separato dalla violenza simbolica e materiale contro la sua interezza come persona. Il ridurre la donna a corpo disponibile non solo nega la sua alterità, ma distrugge anche la possibilità stessa di una relazione erotica autentica.

L’approccio di Dussel, che intreccia metafisica, etica e erotica, fornisce un quadro filosofico che rafforza le istanze abolizioniste femministe. La liberazione autentica passa per il rifiuto della mercificazione del corpo, per la rivendicazione dell’alterità e della dignità di ogni essere umano. Solo così l’eros può rivelarsi come spazio di libertà, giustizia e gratuità, invece che come dominio e sfruttamento.

Il passaggio di Enrique Dussel sul “machismo uxoricida” offre una prospettiva critica sulla costruzione patriarcale della sessualità, evidenziando come questa sia alla base dell’alienazione e della violenza contro le donne. Da una prospettiva femminista abolizionista, questa analisi permette di smascherare le radici filosofiche e culturali dello sfruttamento sessuale e della mercificazione del corpo femminile.

Critica al machismo e al “ego fálico”

Dussel descrive il machismo come una struttura ideologica che riduce la donna a oggetto sessuale, privandola della sua soggettività.

“La mujer no es; es sólo objeto, como lo era en la política el indio, el africano, el asiático, las naciones pobres, las clases oprimidas, el pobre.”

Questa riduzione ontologica della donna a “non-essere” rappresenta l’essenza del patriarcato, che stabilisce il dominio maschile attraverso il concetto di “falicità”. La sessualità maschile, intesa come attiva e costituente, domina e definisce l’identità femminile come passiva e costituita. Questo dualismo, che Dussel critica, è la base filosofica di pratiche di sfruttamento sessuale come la prostituzione, dove il corpo della donna è trattato come un oggetto di consumo.

Prostituzione e falicità

Dal punto di vista abolizionista, la prostituzione è una manifestazione estrema della “falicità” patriarcale. Il corpo della donna, ridotto a oggetto sessuale, viene spogliato della sua alterità e della sua libertà. L’“ego fálico” maschile, in questo contesto, non cerca una relazione autentica con l’altro, ma si autoafferma attraverso un atto di dominio. Questo riflette ciò che Dussel descrive come una masturbazione solipsista:

“El machismo […] toma impotente al varón por cuanto le impide relacionarse con alguien, el otro sexuado (la mujer), y sólo accede en una masturbación solipsista a un objeto que cumple su autoerotismo.”

In altre parole, il machismo non solo aliena la donna, ma svuota anche il significato relazionale dell’eros, rendendo impossibile una connessione autentica tra i sessi.

Femminismo abolizionista e il superamento del machismo

L’abolizionismo femminista si pone in netto contrasto con questa visione riduttiva della sessualità, proponendo invece una prospettiva di liberazione che riconosca la donna come soggetto pienamente umano. Ciò implica non solo il rifiuto dello sfruttamento sessuale, ma anche una critica radicale al patriarcato e alla sua costruzione culturale della sessualità.

Dussel sottolinea che il machismo è intrinsecamente distruttivo:

“La muerte del éros es asesinato de la mujer: uxoricidio.”

Questa affermazione riassume il legame tra la violenza sessuale e simbolica e il sistema patriarcale. Per il femminismo abolizionista, combattere lo sfruttamento sessuale significa anche combattere le ideologie che sostengono la riduzione della donna a “non-essere”.

Il machismo, come descritto da Dussel, non solo legittima lo sfruttamento delle donne, ma rende impossibile una relazione autentica basata sulla reciprocità, sulla libertà e sulla giustizia. Il femminismo abolizionista richiama l’urgenza di smantellare queste strutture ideologiche, non solo per liberare le donne dalla mercificazione, ma anche per ridefinire l’eros come spazio di relazione autentica e riconoscimento reciproco.

Critica alla fallocrazia e alla dominazione coloniale

Dussel descrive la “falocracia” come una struttura ideologica che lega la dominazione sessuale alla dominazione politica, economica e culturale. L’atto di conquista, emblematico nel colonialismo europeo, è un atto sessuale simbolico e reale.

“El europeo no sólo dominó al indio, sino que violó a la india.”

L’unione tra Cortés e Malinche diventa il paradigma della violenza coloniale, dove il corpo della donna indigena non è solo un territorio da conquistare ma anche un simbolo della sottomissione di un popolo intero. Il “yo conquisto”, che definisce la soggettività del colonizzatore, si intreccia con l’”ego fálico”, sottolineando come la sessualità maschile patriarcale sia uno strumento di dominazione sistemica.

Alienazione sessuale e prostituzione come espressione di dominazione

Dussel collega la prostituzione alla dominazione politica ed economica:

“La prostitución como fenómeno de las clases populares, tanto en el centro como en la periferia, muestra la dominación fúlica concomitantemente a la dominación económica.”

Il tango Margot illustra questa dinamica, narrando la trasformazione di una donna povera in un oggetto di consumo per il piacere maschile dei ricchi. Questo esempio evidenzia come la prostituzione sia un prodotto di una società che mercifica la sessualità femminile, in cui le donne delle classi popolari e periferiche subiscono una doppia oppressione: per il loro sesso e per la loro posizione economica e culturale.

Dal punto di vista abolizionista, questa analisi conferma che la prostituzione non è una scelta libera, ma una conseguenza di strutture oppressive che riducono le donne a strumenti di piacere per una classe dominante.

La donna come vittima della tripla oppressione

Dussel identifica nella donna delle culture periferiche – indigene, africane, asiatiche – la figura che incarna l’oppressione intersezionale:

“La mujer popular, la mujer de la cultura periférica, viene así a sufrir un doble embate, una doble violación: violada por ser una cultura y nación oprimida, por ser miembro de una clase dominada, por ser mujer de sexo violentado.”

Questo triplice livello di oppressione – coloniale, di classe e sessuale – sottolinea la necessità di una prospettiva femminista intersezionale che abbracci anche un’ottica abolizionista per affrontare lo sfruttamento sessuale.

Liberazione erotica e riformulazione del sé femminile

Dussel propone una liberazione dell’eros che passa attraverso l’emancipazione della donna dalla definizione patriarcale:

“La liberación del éros se cumple por la liberación de la mujer, lo que permitirá al varón recuperar parte de la sensibilidad perdida en la ideología machista.”

Questa liberazione richiede di superare la concezione della donna come “castrata” o come “non-falo”. La definizione positiva della sessualità femminile – clitoriana-vaginale e mamaria – è un passo verso il riconoscimento della donna come soggetto attivo e costituente. Questo riconoscimento non solo emancipa la donna ma permette anche all’uomo di uscire dalle catene della falocrazia, aprendosi a una relazione più autentica e giusta.

Prospettiva femminista abolizionista

Per il femminismo abolizionista, la liberazione della donna implica anche l’abolizione della prostituzione come istituzione patriarcale e della sessualità mercificata che riflette la dominazione falica descritta da Dussel. Questo richiede una trasformazione radicale delle strutture sociali, economiche e culturali che perpetuano la subordinazione femminile.

L’obiettivo non è solo l’eliminazione delle pratiche oppressive, ma anche la creazione di un nuovo paradigma relazionale, in cui la sessualità non sia dominio, ma spazio di reciprocità e libertà.

Dussel affronta in questo brano l’idea di una liberazione erotica, domestica e sociale come processo di negazione della dominazione patriarcale e costruzione di un nuovo paradigma relazionale ed educativo. Questo concetto si inserisce in una critica femminista abolizionista, che rifiuta le strutture oppressive e immagina nuove possibilità per la vita familiare e sessuale.

La liberazione come negazione della dominazione

Dussel concepisce la liberazione come un processo di superamento della falocrazia e del machismo, che richiede una distinzione reale tra i sessi, non basata sull’opposizione gerarchica ma sull’alterità:

“El varón afirma mi exposición fálica, y la mujer afirma igualmente su exposición clitoriana-vaginal y mamariobucal.”

Questa affermazione della differenza sessuale, lontana dalle logiche patriarcali, è vista come condizione per un’eros non repressivo né patologico. Il rispetto dell’altro come altro è fondamentale:

“El ritmo sexual como liturgia en el respeto del otro… cumple el deseo del otro como otro, como otramente sexuado.”

Da una prospettiva femminista, questa visione contrasta con l’oggettivazione e la mercificazione della donna che caratterizzano il patriarcato e lo sfruttamento sessuale, come avviene nella prostituzione.

Il nuovo senso del “focolare”

Dussel recupera l’immagine del fuoco domestico come simbolo della casa, della famiglia e dell’intimità:

“En el centro de la casa está el hogar, el fuego. Fuego que calienta… que ilumina el mundo doméstico.”

Tuttavia, questa visione non si limita a una dimensione romantica o nostalgica. Il fuoco è il simbolo dell’eros liberato che fonda una nuova relazione paritaria tra uomo e donna. La famiglia falica – fondata sulla dominazione del marito, la subordinazione della moglie e la deformazione pedagogica del figlio – è rifiutata in favore di una casa liberata:

“La muerte de la casa, de la familia fálica, permitirá la aparición de una nueva casa, el hogar liberado.”

In questo nuovo spazio, le relazioni non sono più alienanti ma basate sul rispetto reciproco e sull’uguaglianza.

Il ruolo del figlio e della famiglia liberata

Dussel sottolinea che la liberazione della donna non solo distrugge il machismo, ma trasforma anche le dinamiche familiari. La famiglia liberata è il luogo in cui il figlio e la figlia non sono alienati o oppressi, ma crescono in un ambiente di equità:

“El hijo deformado es materia dispuesta a la injusticia política.”

L’educazione familiare è vista come la base della giustizia sociale, e la liberazione della casa è una precondizione per la costruzione di una società non oppressiva.

Dal punto di vista abolizionista, questa analisi supporta la necessità di eliminare le strutture patriarcali e capitalistiche che riducono le donne a oggetti di consumo sessuale e mercificano le relazioni umane. La “famiglia falica” può essere vista come un’analogia della prostituzione, dove il corpo della donna è sfruttato per soddisfare desideri maschili alienanti.

L’alternativa proposta da Dussel immagina una nuova casa, un nuovo focolare, dove la sessualità non è dominio ma reciproca alterità, e dove le relazioni familiari sono il fondamento di una società giusta. Questa visione è un potente antidoto alla riduzione della donna a mero strumento e alla riproduzione della violenza sistemica attraverso la famiglia patriarcale.

In conclusione, Dussel suggerisce che la liberazione della donna è la chiave per una trasformazione radicale dell’intera società, passando dalla “casa falica” alla “casa liberata”, dove regnano rispetto, uguaglianza e giustizia.

Progetto e praxis di liberazione erotica

L’ontologia fallica e il suo impasse

Dussel inizia questa sezione criticando la concezione fallica della perfezione erotica, che associa l’ideale umano all’asessualità. Questa visione, fondata su un’ontologia patriarcale, presenta la sessualità come una problematica irrisolvibile:

“Ogni atto fallico è incestuoso poiché si dirige alla madre e alla donna allo stesso tempo.”

La soluzione proposta da questa ontologia è la repressione del desiderio, rappresentata dall’atarassia (imperturbabilità) o apatia (impassibilità), ideali dello stoicismo. In questo contesto, il piacere supremo non risiede nell’atto erotico, ma nella sublimazione:

“Il piacere supremo è la contemplazione.”

Dussel denuncia questa castrazione sublimatoria come una soluzione moralizzante dell’ideologia machista, che perpetua anche il controllo sulla donna attraverso l’esaltazione della parthénos (la vergine offerta al falo sacro). Entrambe le alternative – la sublimazione del desiderio e l’idealizzazione della verginità – vengono rifiutate come opzioni percorribili per una vera liberazione erotica.

Il progetto di liberazione erotica

L’autore propone un modello che rifiuta sia la repressione del desiderio che la sua strumentalizzazione. Invece di perpetuare la logica falocentrica di dominazione e sublimazione, la liberazione erotica deve orientarsi verso una praxis in cui:

1. Il desiderio venga vissuto nella sua pienezza: Senza le restrizioni alienanti dell’ideologia machista.

2. L’alterità venga rispettata: L’altro, come sessuato, non deve essere ridotto a oggetto né idealizzato come ente asessuale.

3. Si rifiuti la castrazione simbolica: La liberazione implica superare l’opposizione falocentrica tra attività maschile e passività femminile.

Il progetto di liberazione erotica, secondo Dussel, non può limitarsi al rifiuto delle pratiche tradizionali, ma deve costruire nuove forme di relazione in cui il rispetto per l’alterità e la pienezza del desiderio siano centrali.

Conclusione

Dussel sfida l’ontologia fallica che sottende molte tradizioni morali e religiose, denunciando le sue soluzioni repressive e alienanti. La sua proposta di liberazione erotica cerca di superare queste limitazioni, aprendo la strada a relazioni basate sulla reciprocità, il rispetto e l’accettazione piena del desiderio umano. Questo progetto è fondamentale non solo per l’emancipazione individuale, ma anche per la costruzione di una società più giusta e ugualitaria.