Cultura
La volta in cui stalkerizzai Gianni Amelio
Molti artisti riescono ad esprimere compiutamente sé stessi in un’ opera, al punto tale che
non c’è bisogno di nulla ad integrarla per poterne cogliere il senso e la ratio.
Di Rosamaria Fumarola
Molti artisti riescono ad esprimere compiutamente sé stessi in un’ opera, al punto tale che
non c’è bisogno di nulla ad integrarla per poterne cogliere il senso e la ratio. In altri casi però
vi sono chiarimenti, talvolta casuali, che aprono uno squarcio su mondi differenti legati ad un’
opera d’arte ma dotati di una propria autonomia. Si può presenziare ad esempio alla prima
di un film a cui fa seguito un incontro con il regista e lasciare la sala molto più arricchiti
umanamente di quanto non sarebbe stato se non si fossero ascoltate le parole dell’autore. È
peraltro molto diffusa l’idea di una distanza incolmabile tra chi in vita sua, grazie alle proprie
eccezionali capacità abbia raggiunto la fama e tutto il resto degli anonimi esseri umani. È un
gioco delle parti di cui non indagherò origine e fondatezza, ma che esiste e che ha
comunque le sue eccezioni. Se si ha la fortuna di ascoltare le parole di un regista come
Gianni Amelio che presenta il suo film, non sarà nemmeno difficile fermarlo per chiedergli
ancora qualche chiarimento ed esprimergli la propria idea, oltreché la propria gratitudine per
ciò che da decenni regala al mondo. Della disponibilità del regista ho approfittato qualche
giorno fa, proprio mentre chiacchierava in sala con i tanti estimatori venuti ad assistere a
“Campo di battaglia” di recente presentato a Venezia, per sottrarlo alla calca e costringerlo a
rispondere a qualche mia domanda. Amelio non si sottrae mai a chi ne reclama l’attenzione
e sembra avere un grande amore per il dialogo oltreché una rara attenzione per gli altri, per
tutti gli altri. Questo i presenti lo hanno percepito al punto tale che l’atmosfera creatasi era
quella del pranzo in famiglia della domenica. Chi lo guardava e ascoltava avvertiva infatti
subito tutta la sua disarmante generosità e reagiva come dopo la lettura delle pagine di un
romanzo di Hugo, pagine sottratte alle dispute a cui la realtà quotidiana obbliga e che
abbracciano ciò che il mondo non è disposto ad accogliere. Ecco Gianni Amelio è
interessato all’ascolto delle ragioni dell’umanità, dei suoi bisogni e questo fa sì che chi gli sta
di fronte lasci cadere qualunque difesa, perché ha la certezza di essere accolto. Tutto ciò in
precisa antitesi con quanto Pasolini a ragione, individuava essere il grande male che prese
avvio con la fine della seconda guerra mondiale e cioè quella notorietà creata dal mezzo più
che dalle capacità. Per lo scrittore il solo comunicare dallo schermo televisivo creava infatti
sudditi e non cittadini.
Non mi dilungherò sulla trama ed il film presentato da Amelio, limitandomi esclusivamente
ad esporne l’argomento e cioè la morte di un’intera generazione di giovani mandati al fronte
durante il primo conflitto mondiale, sguarniti di preparazione e difese. Su questa tematica si
sviluppa la storia dei personaggi principali, uniti dall’affetto amicale ma schierati
politicamente su posizioni contrapposte. Amelio non ha mancato di sottolineare l’assurdità
del ricorso alla guerra e la necessità di investire le migliori risorse dell’uomo nella ricerca che
salva vite umane e non le sacrifica in nome del potere. Mentre tuttavia ascoltavo le sue
parole non riuscivo a non pensare che il potere è proprio in primo luogo dell’istinto degli
esseri umani, prova ne sia che da sempre ne accompagna i rapporti. Essi provano rabbia,
invidia senza possibilità di scelta e rispondono con la violenza, che se è agita dalla
minoranza al potere è sempre giustificata perché al di sopra della legge, essendo questa
prodotta proprio dal potere.
Al termine della proiezione ho raggiunto per la seconda volta Gianni Amelio esponendogli
quanto sopra e chiedendogli se fosse per lui possibile un cambiamento. Il regista senza
alcun tentennamento mi ha risposto “Ma certo che è possibile! Vede il nemico dell’ uomo è il
tempo. Io ho superato gli ottant’anni e faccio fatica ormai a realizzare un film, che necessita
sempre anche di un impegno delle forze fisiche oltreché mentali. Se si ha tempo si ha tutto!”
Ho pensato così alla domanda di uno spettatore che gli chiedeva se questo fosse il suo
ultimo film e dunque una sorta di suo testamento spirituale. Amelio ha risposto in un primo
momento che non era così ma ha poi concluso che poteva essere così. In un attimo era
stato messo con le spalle al muro: la vite per tramite di uno sconosciuto spettatore aveva
adombrato il sospetto che tutta quella ricchezza con cui ci aveva contagiato potesse sparire
per sempre. L’idea che ci facciamo della morte è cosa intima che tale rimane se si è anonimi
esseri umani, ma se si è in qualche modo personaggi noti può diventare questione di
pubblico interesse. Mi sono domandata se si sia mai pronti a condividere pensieri che
riguardano la propria morte e ne ho concluso che il successo è talvolta una belva feroce. Ci
siamo salutati quando la sala era quasi vuota, gli ho poggiato una mano sulla spalla con
affetto e riconoscenza e mi ha salutato con un: “Signora le cose devono essere
cambiate…lei ha tutto il tempo per farlo”.
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