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26 Gennaio 2025

Che fine ha fatto l’interesse per i posti di terapia intensiva?

L’egoismo derivante dalla paura aveva stimolato l’attenzione generale verso il Sistema Sanitario Nazionale ridotto ad un San Lazzaro ma con sempre minori speranze di un “alzati e cammina”.

Ora che ci sentiamo, a torto, al sicuro ci interessa poco dei nostri ospedali.

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Credit foto https://medicoepaziente.it/2020/coronavirus-lidentikit-dei-pazienti-in-terapia-intensiva/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Dal 2020 al 2022 è stato uno dei principali argomenti di analisi e discussione. I posti di terapia intensiva in Italia.

Ovvio. Con il Covid-19 che dilagava. Migliaia di morti e di ricoveri giornalieri.

Il nostro sistema sanitario arrivò al collasso. Soprattutto rispetto alla disponibilità di posti in terapia intensiva.

Settore critico da sempre. Per fronteggiare il Covid-19 vennero prese misure urgenti per aumentare i posti in terapia intensiva.

Venne varato anche un piano che guardava anche al futuro. Aumentare in modo permanente le disponibilità di posti di terapia intensiva nelle regioni italiane.

Piano che, a cinque anni dall’inizio della pandemia, non è ancora concluso. In Molise non è addirittura mai partito https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=124489.

Passata l’emergenza. Superato (?) il Covid-19, tutto è finito nel dimenticatoio. Vaccini, mascherine, prevenzione e anche l’attenzione verso la disponibilità di posti in terapia intensiva.

L’egoismo derivante dalla paura aveva stimolato l’attenzione generale verso il Sistema Sanitario Nazionale ridotto ad un San Lazzaro ma con sempre minori speranze di un “alzati e cammina”.

Ora che ci sentiamo, a torto, al sicuro ci interessa poco dei nostri ospedali.

Ignorando un dato fondamentale. Specialmente nella medicina d’urgenza, quella che salva la vita, il tempo è tutto.

Più minuti passano più diminuiscono le possibilità di sopravvivere.

Questo significa che è necessaria la creazione di una fitta rete di postazioni del 118, di DEA, di posti in terapia intensiva. Utilizzando anche la capillare rete delle farmacie che possono diventare , con i necessari investimenti pubblici, punti di primo soccorso con personale medico (anche in forma consorziata) specializzato in medicina d’urgenza e diagnostica in telemedicina sempre più potenziata.

Fitta rete che ad oggi in molte regioni non esiste.

Anzi le risorse sono sempre poche e spese spesso male.

La medicina d’urgenza richiede investimenti straordinari. Non negoziabili.

I centomila morti per Covid sono a ricordarlo. Eppure non sono bastati.

Ci illudiamo di non aver bisogno di ospedali efficienti. Per poi urlare disperati in un Pronto Soccorso che non riesce a fornire risposte rapide.

Una Paese democratico non può non avere la salute come primo dei diritti.

Diritto che non può essere lasciato solo alla gestione delle Regioni. Anche questo è stato evidenziato dalla tragica emergenza del Covid.

Troppe disparità tra Regioni. Almeno la medicina d’urgenza deve essere di competenza statale.

Una delle lezioni della medicina d’urgenza nei campi di battaglia è che il personale sanitario  deve essere il più possibile vicino ai feriti.

Personale sanitario attrezzato e preparato per praticare sul campo anche delicati interventi.

Questo schema deve essere considerato anche in tempo di pace.

La risposta alle emergenze mediche deve essere basata sul qui ed ora.

Non ci illudiamo. Il Covid non è episodio isolato. Il nostro sistema di emergenza sanitario potrebbe trovarsi nuovamente saturato.

Ci stiamo preparando? Abbiamo imparato qualcosa?

Sembrerebbe di no. L’opinione pubblica e la politica pensano ad altro.

Peggio ancora una numero non indifferente di persone pensano che il Covid sia stata un’emergenza “gonfiata” o addirittura finta.

La paura e l’ignoranza fanno brutti scherzi. Negare è più facile che affrontare e risolvere.

 Negheremo ancora quando, in emergenza, troveremo la porta della terapia intensiva chiusa per mancanza di posti? 

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