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01 Dicembre 2025

Asia Argento, Epstein e l’eterna assoluzione del potere maschile: un parallelo storico che l’Italia non vuole vedere

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Credit foto https://news.harvard.edu/gazette/story/2018/04/asia-argento-sets-the-record-straight-on-farrow-weinstein/

Di Maddalena Celano

Ci sono momenti in cui la cronaca smette di essere cronaca e diventa specchio.

 Il caso di Asia Argento e l’esplosione globale degli Epstein Files appartengono a questa categoria: non semplici scandali, ma radiografie del potere, della complicità e delle reazioni sociali che rivelano molto più di quanto mostrino.

Oggi, mentre negli Stati Uniti la Camera dei Rappresentanti ha votato quasi all’unanimità per obbligare il Dipartimento di Giustizia a pubblicare integralmente tutti i documenti legati al caso Jeffrey Epstein, in Italia riemerge, con forza struggente, la memoria di ciò che accadde quando Asia Argento osò denunciare Harvey Weinstein.

 Ed è inevitabile interrogarsi: come mai ciò che all’estero è stato riconosciuto come sistema di abuso di potere, in Italia è stato trattato come capriccio di una “vip esagerata”?

L’Italia contro Asia Argento: un caso di misoginia culturale

Quando Asia raccontò di essere stata violentata da Weinstein, non stava facendo una rivelazione isolata: stava descrivendo un fenomeno che, più tardi, sarebbe stato riconosciuto come parte di un apparato sistemico di dominio maschile nell’industria cinematografica internazionale.

 Eppure, nel nostro Paese, la reazione fu feroce, quasi rituale.

Per settimane, Asia non fu trattata come una testimone o come una possibile vittima, bensì come un bersaglio. Fu insultata, delegittimata, patologizzata. La stampa italiana — e, dolorosamente, anche molte donne — la trasformò in colpevole morale: “esagerata”, “bugiarda”, “in cerca di attenzione”.

 Un processo pubblico senza garanzie, un linciaggio travestito da dibattito.

Questa dinamica non è nuova. In Italia, chi denuncia abusi di potere sessuale non viene valutata sulla base dei fatti, ma sulla base di un immaginario culturale che associa la credibilità al silenzio e la menzogna alla ribellione.

 Il patriarcato, da noi, viene spesso camuffato come “scetticismo sano”.

Il caso Epstein e la caduta del mito dell’élite intoccabile

Mentre in Italia si rideva o si sminuiva Asia Argento, negli Stati Uniti, quasi in parallelo, prendeva forma uno dei più grandi scandali di traffico sessuale della storia recente: quello legato a Jeffrey Epstein, finanziere, lobbista, intermediario dei potenti, uomo dalle entrature geopolitiche e finanziarie enormi.

L’indagine su Epstein non è la storia di un “mostro isolato”, come alcuni commentatori italiani hanno tentato di interpretarla: è la dimostrazione di un ecosistema di protezioni, di un’aristocrazia globale che ha sfruttato minorenni approfittando di ricchezza, impunità, legami politici.

Gli Epstein Files, il cui rilascio completo è oggi imposto per legge dal Congresso USA, contengono:

● registri di volo (“Lolita Express”)

● email e corrispondenze

● transazioni bancarie

● testimonianze di centinaia di pagine

● elenchi di contatti e di frequentatori

I nomi emersi negli anni — e che compaiono in citazioni, mail, contatti o testimonianze — appartengono all’élite planetaria: uomini come il Principe Andrea, figure politiche come Steve Bannon, investitori come Peter Thiel, magnati come Elon Musk, e riferimenti documentali in cui compare anche Donald Trump, già noto per dichiarazioni pubbliche sulla compagnia di Epstein.

Si tratta di un mondo che per decenni si è muovuto nella certezza di non essere mai sfiorato dalla legge.

 Un mondo molto simile — per dinamiche di protezione, non per contenuti specifici — a quello descritto da Asia Argento.

Weinstein ed Epstein: due mondi paralleli, ma comunicanti

Non c’è un “grande complotto unico”, eppure la storia documentata mostra un’intersezione interessante: Weinstein ed Epstein non vivevano in universi separati.

 Frequentavano gli stessi ambienti sociali, gli stessi donatori, gli stessi circoli diplomatici e mediatici, e persino — fatto storico — tentarono una partnership commerciale: nei primi anni 2000 provarono insieme ad acquistare una quota del New York Magazine, operazione che non andò in porto ma certifica un’interazione diretta.

Un altro episodio significativo è la loro presenza comune al ballo per il 18° compleanno della Principessa Beatrice nel 2006, su invito del Principe Andrea.

 Non amici, forse. Ma certamente parte dello stesso spazio di potere: quello delle élite maschili protette dal riserbo, dal denaro e dal silenzio.

Che questi due universi — il mondo Weinstein e il mondo Epstein — fossero paralleli non sorprende: entrambi prosperavano sulla stessa architettura sociale fatta di impunità, contatti, protezioni e accesso privilegiato alla vulnerabilità delle giovani donne.

E Asia Argento, con le sue denunce, stava parlando esattamente di questo tipo di sistema.

Il nodo culturale: perché in Italia non si crede alle donne?

L’Italia non ha mai elaborato fino in fondo il ruolo della misoginia nelle dinamiche di potere.

 C’è una lunga tradizione, storicamente documentata, di sfiducia istituzionale e culturale verso la parola femminile, soprattutto quando riguarda uomini influenti.

 Le statistiche sui processi per violenza sessuale mostrano percentuali alte di vittimizzazione secondaria, sospetto verso la denunciante, minimizzazione dell’abuso.

Asia Argento è stata un caso di scuola: un Paese intero ha preferito proteggere l’immagine rassicurante del maschio di successo piuttosto che affrontare il fatto che il potere abusa.

Il massacro mediatico contro di lei fu, in fondo, un rito collettivo: una forma di espiazione. Doveva essere colpevole — non per ciò che diceva, ma per aver osato parlare.

Gli Epstein Files obbligano ora a guardare ciò che l’Italia ha rifiutato di vedere

Oggi la pubblicazione progressiva dei documenti Epstein funziona come uno specchio retroattivo.

 Ci dice che ciò che veniva denunciato — sfruttamento, silenzi, reti di uomini potenti che coprono altri uomini potenti — non era fantasia, isteria o vendetta.

 Era realtà.

E la reazione italiana a Asia Argento non fu un caso di “scetticismo”, ma di rifiuto culturale della verità quando la verità mette in discussione il potere maschile.

Asia Argento non era l’imputata. Era la testimone di un sistema.

Oggi, alla luce dei documenti ufficiali, delle indagini, delle ricostruzioni e dei precedenti storici, non resta spazio per l’equivoco morale che ha dominato il dibattito italiano.

 Asia Argento non era una “persona difficile”.

 Non era un’attrice capricciosa.

 Non era una donna in cerca di attenzioni.

Stava denunciando — prima che scoppiasse globalmente — un sistema che oggi nessuno può più fingere di non vedere.

La verità non si può cancellare con l’insulto. E adesso che quella verità emerge in tutta la sua dimensione internazionale, è l’Italia a dover fare i conti con sé stessa.